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L'uomo, la donna e la bestia - Spell, dolce mattatoio

Creato il 30 giugno 2010 da Eraserhead
L'uomo, la donna e la bestia - Spell, dolce mattatoioParecchio tempo dopo, precisamente da La montagna del dio cannibale (1978), ritorno a navigare nelle agitate acque del cinema di genere italiano, e subito m’imbatto in un Cavallone, che di nome fa(ceva) Alberto, che nell’onda della rivalutazione internettiana moderna ha trovato un posto d’onore tra le file dei registi maledetti; definito come spina nel fianco della morale italiana, prima di Spell (1977), opera dai molteplici ed enigmatici titoli, gira un paio di film non proprio memorabili a leggere in giro dove il filo conduttore è sempre il sesso, il corpo, l’eros sporco. Dopo Spell, invece, partorirà l’allucinato Blue Movie (1978), poi praticamente il silenzio. Nel mezzo un film fantasma, Maldoror, che nessuno ha mai visto, ma di cui tutti gli appassionati parlano.
Mi ero disabituato – e mi sa pure disamorato – a questo cinema così grezzo, raffazzonato nel modo in cui esprime ciò che vuole dire, che quasi intenerisce per l’ingenuità dei dialoghi e la goffaggine degli attori sul set.
L’esile storia della pellicola racconterebbe di un paesello di provincia popolato da anime inquiete: moglie pazza che beve l’acqua del water, macellaio frustrato, poliziotto fedifrago, padre incestuoso. In una cornice da film corale ante litteram, Cavallone rimbalza freneticamente da un personaggio all’altro mettendone in gran mostra le doti meno nobili che stridono con il ruolo sociale che ricoprono. L’intento di mettere a nudo la brava gente di un grumo di case è operazione lungimirante et innovativa per l’epoca visto che i tempi della comunicazione globale in cui per sapere le ultime dall’inferno basta accendere il tg ancora avevano da venire e parlare così, di queste cose, doveva esser come girare nudi in piazza San Pietro la domenica mattina. Temo, però, che non molti abbiano dato adito a Cavallone, e ora, come per molti altri suoi fratelli, è troppo tardi.
Sì perché Spell è un film che sa di vecchio. Non so se avete presente, ma i vecchi hanno un odore strano, d’armadio chiuso, saliva secca, respiro di tomba. Saranno gli ultimi sbuffi di vita o i primi avvisi della morte, boh, sta di fatto che questa puzza lieve ha un che di meschino, di laidi segreti dimenticati. Ma allo stesso tempo, vedendo il povero vecchietto con quella pelle sottile e le ossa deformate dagli anni che quasi vogliono uscirgli dal corpo, si prova indulgenza, forse pietà nei confronti del suo odore malevolo.
Dolce mattatoio mi ha detto questo. Certo certo, le turpi immagini di (s)exploitation arricchite da citazioni intellettuali quali De Sade e Bataille, ci sono e resistono. Cosiccome tiene duro alla severità del tempo la cupola di perversione che mette sottovetro il paese. Sebbene vi sia più d’una caduta di stile (un phon usato per tramortire è poco credibile), trasuda del male da questa storia; che siano vermi brulicanti in una fetta di carne o l’ottima scena – la migliore – della moglie che nelle sue fantasie si abbandona al prete mentre il piede del marito impiccato penzola dallo schermo, si avverte un gusto sordido, lo stesso afrore dei vegliardi.
Ma quello che gli anni a mio parere hanno divorato è il senso, il messaggio e i suoi destinatari. Quale vuoto potrebbe mai riempire Spell? Quali risposte dare? Beh, ovviamente starete pensando che già alle origini non era un film dai grandi principi formativi visto il suo procedere per pennellate surreali, ad oggi però mi sembra arrivare fuori tempo massimo, e allora, nonostante il finale coprofago stile Pink Flamingos (1972), mi vien da sorridere e provo un pochetto di compassione. Come per le persone anziane, così buffe nei loro movimenti, così buffe nel raccontare le storie del passato che, purtroppo, nessuno a quei tempi ha ascoltato, e che ora suonano tanto inattuali.

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