L’urlo di B&B: Fini deve dimettersi, non è super partes. E Schifani?

Creato il 07 settembre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Dopo aver scartato nell’ordine: la lapidazione al posto di Sakineh (Ahmadinejad ha rifiutato sdegnosamente l’offerta); un mese nei lager di Gheddafi finanziati dal governo di Silvio; due anni di vacanza con Feltri e Belpietro a Pantelleria; un servizio in esclusiva di Alfonso Signorini su Chi a braghe scese e attributi al vento alla Topolanek; un attentato con il vetriolo compiuto dalla Santanchè; un visita di cortesia di Matteo Messina Denaro con una cinquantina di picciotti al seguito armati di lupara e scacciapensieri; il lancio in fronte del modellino del Colosseo da parte di Gasparri (tanto sarebbe assolto per incapacità di intendere e di volere) il duo Bed&Breakfast, Bossi-Berlusconi, ha deciso di seguire le vie democratiche della PP, Perorazione Presidenziale. Vestiti come Totò e Peppino a Milano, con tanto di cappotto di astrakan, turbante, balalaika e tenendosi per mano, i due statisti hanno deciso di recarsi al Quirinale (non senza aver chiesto al pizzardone in servizio a piazza di Spagna: “Per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?”), per convincere Napolitano ad appoggiarli nell’opera di far dimettere il presidente della Camera e di andare subito alle elezioni. La motivazione con la quale cercheranno di portare avanti la loro pirlata concettuale è che Gianfranco Fini, ormai, “non è più super partes”. Se la seconda carica dello Stato non fosse Renato Maria Giuseppe Schifani, Napolitano potrebbe anche far finta di credere a una versione così fantasiosa dei fatti, ma definire Schifani super partes sarebbe come dire a D’Alema che è di sinistra: un assurdo in termini. Insomma, sempre secondo Bed&Breakfast, Fini si deve dimettere senza se e senza ma considerato che, quando è stato eletto, da cofondatore del Pdl-partito di maggioranza relativa, lo era e ora, “abracadabra”, non lo è più. Quella di ieri sera ad Arcore non è stata la solita cena del lunedì fra Berlusconi e Bossi nella quale si divertivano a cazzeggiare sui fatti privati della domenica e la cui conclusione era sempre: “Umbertino ma la vuoi la pillolina per spaccare in due miss Padania?” e Bossi che, data un’occhiata fra le gambe, rispondeva mestamente “Grazie Silviuccio, meglio di no”. È stato un vero e proprio consiglio di guerra nel quale si sono confrontati i generali del Pdl e della Lega. Le squadre erano così composte. Pdl: Silvio Berlusconi, Denis Verdini, Ignazio detto “GnazioLa Russa, Maria StellaStellinaGelmini e Niccolò Ghedini-"Stranamore" (Sandro Bondi non si è presentato perché il sonetto scritto all’uopo era proprio una schifezza). Lega Nord: Umberto Bossi, Roberto Maroni con lo stuzzicadenti in bocca per togliere il rimasuglio del polpaccio del poliziotto rimasto fra i denti, Roberto Calderoli sceso momentaneamente con la liana dal baobab, Roberto Cota, Giancarlo Giorgetti e Marco Reguzzoni. Assente giustificato Roberto Castelli, altrimenti conosciuto come l’insonne di Lecco, andato a letto presto considerati i cinque lavori che fa per mantenersi agli studi. In tre ore e mezza, il supervertice di maggioranza ha esaminato tutte le opzioni possibili, comprese quelle riportate all’inizio. Ma poi ha prevalso il buon senso di Bossi (strano a dirsi ma così è andata), per cui nei prossimi giorni Totò e Peppino andranno da Napolitano per dirgli che loro vogliono andare a votare senza Fini presidente della Camera che il Presidente deve dargli una mano a rimuovere. Sound of Silence, che di tutto può essere accusato meno che di non conoscere la Costituzione, sarà costretto a dire una serie di no che indisporranno ancora di più Bed&Breakfast. Il primo riguarderà le dimissioni di Fini: il Presidente della Repubblica non può infatti rimuovere un bel nulla, votare contro il Presidente della Camera spetta ai deputati che lo hanno eletto e, con l’aria che tira, non è detto che la Camera gli voti contro. Il secondo è il niet più delicato. La nostra Costituzione recita infatti che se un governo cade, perché viene meno la maggioranza che lo ha nominato, il Presidente della Repubblica apre il giro di consultazioni per verificare o meno l’esistenza di un’altra maggioranza, che è esattamente quello che Bossi e Berlusconi non vogliono perché, nello stesso modo, non vogliono modificare il “porcellum”, cioè la legge elettorale vigente. Napolitano insomma sa che può dormire sonni tranquilli, non altrettanto possono fare Totò e Peppino che da un ricorso anticipato alle urne hanno tutto da perdere. Tolte di mezzo le bamboline voodoo che la Santanchè ha utilizzato per tentare una fattura contro Fini con tanto di spillone fra le palle, i partecipanti al summit lasciando la villa di Arcore (ex possedimento dei marchesi Casati-Stampa), avevano una faccia stravolta come i “cospiratori” della notte del Gran Consiglio fascista. Peccato per loro che l’unico fascista vero era assente e che il Presidente-Re Vittorio Emanuele non ha alcuna intenzione di farlo arrestare per insediare al suo posto Tremonti-Badoglio. La storia, come la natura, non fa salti, tutt’al più si ripete anche se i finali sono quasi sempre diversi.

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