Il Mar Mediterraneo, come topos del rapporto tra Europa e Vicino Oriente e con una naturale vocazione geopolitica di crocevia tra Nord e Sud del mondo, si presenta oggi al centro di un processo storico che vede un'ingerenza di attori atlantici, di natura "oceanica".
Seguendo lo storico Mollat du Jourdin possiamo distinguere "due Mediterranei europei",[i] cioè "due mari tra le terre" nel continente europeo. Di quello a nord aperto all'Oceano e "totalmente europeo"[ii] lo storico francese scrive: "i mari del Nord-ovest e del Nord europeo ritrovarono la loro vocazione ad essere il dominio del profitto e del potere, vocazione per altro mai dimenticata";[iii] del Mediterraneo a sud, con il suo appellativo di mare nostrum, egli scrive che la sua natura sta nell'essere "un mare se non chiuso ad ogni modo incluso in un universo politico, dapprima unico, e centrato sull'Europa, e in seguito esteso all'Africa".[iv] Questo secondo Mediterraneo collocato nel Mezzogiorno dell'Europa si trova in una posizione geografica euro-afroasiatica che lo distingue da quello settentrionale sotto l'aspetto culturale ed antropologico conferendogli un carattere di unicità: "un mare su cui si affacciano tre continenti e tre religioni monoteistiche che non sono mai riuscite a prevalere l'una sull'altra".[v] Danilo Zolo osserva infatti che questo luogo sincretico di culture, popoli ed etnie differenti "come tale non è mai stato monoteista" e si presenta anzi come un "pluriverso irriducibile di popoli e di lingue che nessun impero mondiale oceanico può riuscire a ridurre ad unum".[vi] Nella misura in cui tale pluriverso ha un'unità storico-geografica ma non politica, economica e militare, la "deriva oceanica" del Mediterraneo si verifica attraverso un processo di erosione della sua unità, e sottrazione della suo spazio di autonomia geopolitica a favore di attori diversi da quelli dell'Europa mediterranea e del mondo arabo-musulmano.[vii] Questa considerazione geopolitica sull'unità del pluriverso mediterraneo deve essere congiunta con un'altra più specificamente storico-politica relativa alla crisi dello Stato-nazione, che Habermas, nel 1996, svolgeva nel seguente modo: "la sovranità degli stati nazionali si ridurrà progressivamente a guscio vuoto e noi saremo costretti a realizzare e perfezionare quelle capacità d'intervento sul piano sopranazionale di cui già si vedono le prime strutture. In Europa, Nordamerica e Asia stanno infatti nascendo organizzazioni soprastatali per regimi continentali che potrebbero offrire l'infrastruttura necessaria alla tuttora scarsa efficienza delle Nazioni Unite".[viii] Le entità sovrastatali a cui fa riferimento il liberale Habermas, apologeta dell'operato dell'Onu e dell'Ue, non sono le stesse delineate dal filosofo hegeliano Alexandre Kojève. Tuttavia la diagnosi dell'idea di Stato-nazione, assieme alla prima considerazione sull'unità del pluriverso mediterraneo, costituisce il punto di avvio dell'intuizione geopolitica del filosofo russo-francese nel suo L'impero latino. Progetto di una dottrina della politica francese (27 agosto 1945). Questo Esquisse d'une doctrine de la politique française fu pubblicato in versione dimidiata solo nel 1990 sulla rivista diretta da Bernard-Henry Lévy ("La Regle du Jeu", I, 1990, 1). Su questo testo, pubblicato integralmente in italiano nel 2004 all'interno di una raccolta di scritti di Kojève intitolata Il silenzio della tirannide, anche il filosofo italiano Giorgio Agamben ha recentemente richiamato l'attenzione[ix]; tuttavia esso è passato pressoché inosservato all'interno dell'ideologia europeista dominante.
La stesura di questo abbozzo di dottrina geopolitica francese avvenne nell'agosto 1945, e trasse occasione dalla cooptazione di Kojève da parte di un suo ex-allievo nei negoziati dell'Avana per la creazione del GATT.[x] Due sono le preoccupazioni che Kojève espone all'inizio del suo scritto, e sono strettamente legate alle immediate circostanze storiche francesi: una, più remota, era quella relativa allo scoppio di una terza guerra mondiale in cui il suolo francese sarebbe potuto diventare campo di battaglia tra russi e anglosassoni; l'altra, più concreta, era costituita dalla crescita del "potenziale economico della Germania", per cui l'"l'inevitabile integrazione di questo paese - che si tenterà di rendere "democratico" e "pacifico" - all'interno del sistema europeo comporterà fatalmente la riduzione della Francia al rango di potenza secondaria".[xi] Il quadro giuridico-politico internazionale sul quale si delinea l'analisi di Kojève è quello della progressiva crisi dello Stato-nazione, prodotto dalla modernità politica a vantaggio di "formazioni politiche che fuoriescono dai limiti nazionali".[xii] Lo Stato moderno per poter essere politicamente efficace deve, in questo mutato quadro geopolitico, poter poggiare su una "vasta unione "imperiale" di nazioni imparentate".[xiii] A provare tale tendenza secondo Kojève sarebbe anche l'insufficienza dello sviluppo militare, sempre più determinata dai limiti economici e demografici su scala nazionale che rendono impossibile la gestione di eserciti in una fase post-nazionale. Ma il limite è evidentemente nell'idea stessa di Stato-nazione.
Nella lettura storica che egli diede della sconfitta del Reich tedesco viene messa in rilievo l'impossibilità da parte di uno Stato di preservare un'esistenza politica sulla limitata base di uno Stato-nazione e con la sua connessa "ideologia nazionalista".[xiv] Da questo punto di vista nella sua analisi, similmente a quella svolta dal secondo Carl Schmitt, interessato all'idea di Grossraum sul piano internazionale, vi è "la consapevolezza del deperimento della sovranità statuale".[xv] La stessa diagnosi dell'idea e della realtà storica dello Stato-nazione è data oggi da Alain de Benoist, per il quale l'unità artificiale dello Stato-nazione è diventata ormai un'istanza di mediazione inefficace tra le tendenze centrifughe di regionalismi e irredentismi etnolinguistici dal basso e la pressione dei mercati mondiali dall'alto.[xvi]
Secondo Kojève l'erosione dell'efficacia politica dello Stato-nazione si poté già scorgere da un lato nel liberalismo borghese, che affermava il primato della società di individui sull'autonomia politica dello Stato, dall'altro nell'internazionalismo socialista, che pensava di realizzare il trasferimento della sovranità delle nazioni all'umanità.[xvii] Secondo il filosofo francese, se la prima teoria si caratterizzò per miopia nel non vedere un'entità politica sovranazionale, la seconda fu ipermetrope nel non scorgere entità politiche al di qua dell'umanità. Kojève intuì che la nuova struttura politica statale che si stava configurando sarebbe costituita da imperi intesi come "fusioni internazionali di nazioni imparentate".[xviii] Da un punto di vista storico-filosofico il Weltgeist hegeliano, prima di poter incarnarsi nell'umanità, sembra dover assumere la forma dell'Impero,[xix] senza con ciò rinunciare alla propria teleologia di una metempsicosi cosmostorica tesa ad una comunità mondiale. Una concreta realizzazione storica di un'entità politica sorretta dalla mediazione tra universalismo e particolarismo geopolitico sarebbe stata rappresentata dall'"imperial-socialismo" di Stalin, che si contrappose sia all'astratto Stato-umanità di Trotzki, sia al particolarismo del nazional-socialismo tedesco.
All'imperial-socialismo sovietico, o impero slavo-sovietico, si contrappose un'altra efficace entità politica che Kojève qualifica come imperiale: l'"impero anglo-americano".[xx] Nell'acuta analisi precorritrice del filosofo francese, la "Germania del futuro", estinguendosi come Stato-nazione caratterizzato da esclusivismo geopolitico ed autonomia politica in base al principio postvestfaliano dello Stato come superiorem non reconoscens,[xxi] "dovrà aderire politicamente all'uno o all'altro di questi imperi".[xxii] Da un punto di vista culturale-religioso, la parentela che egli individua tra anglosassoni e tedeschi si fonderebbe sull'ispirazione protestante comune. Il problema che si pose Kojève fu dunque specificamente geopolitico e tuttora assolutamente attuale: scongiurare la riduzione della Francia a "hinterland militare ed economico, e quindi politico, della Germania, divenuta avamposto militare dell'impero anglosassone".[xxiii] L'orientamento della Germania verso l'impero anglo-americano si sarebbe potuto osservare negli sviluppi storici e geopolitici successivi.
Ma nell'analisi dell'hegeliano francese, il problema della riduzione della sovranità coinvolgerebbe conseguentemente le altre nazioni dell'Europa occidentale "se si ostineranno a mantenersi nel loro isolamento politico "nazionale"".[xxiv] Il progetto politico proposto da Kojève è teso quindi alla creazione di una terza potenza tra quella ortodossa slavo-sovietica e quella protestante germano-anglo-sassone: un impero latino alla cui testa possa porsi la Francia al fine di salvaguardare la propria specificità geopolitica assieme a quella di altre nazioni latine, minacciate da un bipolarismo mondiale che preme su uno spazio mediterraneo da oriente e da occidente.
La vocazione di tale progetto imperiale non potrebbe però avere un carattere imperialistico, perché non sarebbe capace di un sufficiente potere offensivo verso gli altri due imperi, ma avrebbe piuttosto la funzione di preservare la pace e l'autonomia geopolitica di un'area che si sottrae al pericolo di egemonie imperialistiche esterne impedendo che il proprio spazio diventi campo di battaglia di Asia e Pacifico.[xxv] L'analisi della situazione della Francia svolta da Kojève rivela però alcune precise difficoltà di realizzazione di questo progetto politico. Secondo il filosofo francese alla "fine del periodo nazionale della storia"[xxvi], che peraltro la Francia faticherebbe a riconoscere, si aggiunge un processo di "spoliticizzazione" del Paese, cioè di perdita della volontà politica ed una conseguente decadenza sotto il piano sociale, economico e culturale. Un progetto sovranazionale implica un dinamismo diplomatico e uno sforzo di mediazione culturale di cui i paesi latini si devono assumere l'impegno. La parentela che Kojève scorge tra le nazioni latine come Francia, Italia e Spagna, e che costituisce l'elemento coesivo di un progetto di entità politica postnazionale, è caratterizzato da un punto di vista culturale da "quell'arte del tempo libero che è l'origine dell'arte in generale".[xxvii] Tale peculiarità dell'"Occidente latino unificato"[xxviii] sarebbe un aspetto identitario omogeneo ai Paesi latini e rimarrebbe ineguagliato dagli altri due imperi. Per questa ragione antropologico-culturale Danilo Zolo può affermare che "l'area mediterranea vanta la più grande concentrazione artistica del mondo".[xxix]
Più in generale, secondo Kojève la formazione di entità politiche imperiali dopo lo Stato-nazione è rafforzata dalla coesione di queste nazioni imparentate con le Chiese più o meno ufficiali ad esse corrispondenti.[xxx] Questa parentela o unione latina può diventare un'entità politica reale solo formando un'autentica unità economica, condizione materiale di esistenza di tale progetto sovranazionale. Ben lungi dall'essere un vettore di conflitto, tale impero latino potrebbe garantire un'intesa politicamente efficace tra culture diverse ma unite nello stesso spazio di appartenenza e comunità di destino. È su questa identità geopolitica comune che è possibile pensare ad un efficace antidoto contro l'idea di clash of civilizations, costitutivamente estranea all'area mediterranea: "un'intesa tra la latinità e l'islam - scrisse Kojève - renderebbe singolarmente precaria la presenza di altre forze imperiali nel bacino mediterraneo".[xxxi]
Da questo punto di vista identitario-culturale, la considerazione sull'esigenza di unità economica nell'area latina delineata dal filosofo francese è ben lontana dal liberalistico primato dell'economico sul politico che si è affermato ed istituzionalizzato successivamente nell'Unione europea. L'unione economica dei Paesi latini è infatti pensata solo come condizione, mezzo dell'unità imperiale latina, non come una sua ragion d'essere, perché il fine ultimo di questa è essenzialmente politico ed è sorretto da un'ideologia specifica. Categoria fondamentale dell'ideologia dell'unità imperiale latina è l'indipendenza e l'autonomia, alla quale si rivelano subordinati altri aspetti come quelli di potenza e di grandezza. Una politica militarista secondo Kojève tradisce una insicurezza e minaccia di instabilità che la formazione di un progetto sovrastatale mediterraneo dovrebbe allontanare: "il militarismo nasce dal pericolo e soprattutto dalla sconfitta, cioè da una debolezza solo probabile o già verificatasi".[xxxii] Per questa ragione il fenomeno di militarismo ed imperialismo viene da Kojève rigettato come "meschino", e spiegato come il riflesso di uno Stato-nazione fragile e non di una struttura politica imperiale.
A tale impero latino dovrà corrispondere un esercito sovranazionale "sufficientemente potente da assicurargli un'autonomia nella pace e una pace nell'autonomia" e non nella dipendenza di uno dei due imperi rivali.[xxxiii] Come già rilevato sopra, la potenza militare dell'impero latino né potrebbe, né dovrebbe avere carattere offensivo, ma piuttosto un carattere difensivo riferito ad una concreta localizzazione nello spazio: "l'idea di un Mediterraneo "mare nostrum" potrebbe e dovrebbe essere il fine concreto principale, se non unico, della politica estera dei latini unificati [...] si tratta di detenere il diritto e i mezzi di chiedere una contropartita a coloro che vorranno circolare liberamente in questo mare o di escluderne altri. L'accesso o l'esclusione dovranno dipendere unicamente dall'assenso dell'impero latino grazie ai mezzi di cui esso solo può disporre".[xxxiv] L'isolamento dei singoli paesi latini non li farebbe altro che naufragare sul blocco imperiale anglo-sassone, trasformandoli in "satelliti nazionali"[xxxv] di una delle due formazioni imperiali straniere. Interessante è l'osservazione di Kojève sul pericoloso potenziale di squilibrio geopolitico ed economico che la Germania può costituire rispetto ai Paesi latini e all'Europa intera: "se il pericolo di una Germania nemica sembra essere scongiurato per sempre, il pericolo economico rappresentato da una Germania "alleata" affrontato all'interno di un blocco occidentale che sia un'emanazione dell'impero anglosassone non è affatto chimerico, mentre rimane, anche sul piano politico, incontestabilmente mortale per la Francia"[xxxvi] e per gli altri Paesi latini. L'impero latino come entità politica autonoma potrebbe essere in grado di "opporsi in maniera costante ad un'egemonia continentale tedesca" o anglo-americana.
L'idea di impero latino non deve cioè essere connessa ai limiti di un anacronistico Stato-nazione, ma riferito a "fusioni internazionali di nazioni imparentate"[xxxvii] o "unione internazionale di nazioni imparentate".[xxxviii]
I problemi politici interni che ostacolerebbero il progetto di impero latino in Francia sarebbero secondo Kojève costituiti sia dal "quietismo economico e politico" che paralizza l'intraprendenza politica del Paese, cioè ostacolano "l'attività negatrice del dato, quindi creatrice e rinnovatrice", sia da formazioni partitiche che si rivelano essere "tanto più intransigenti nel loro atteggiamento quanto meno questo è dottrinale".[xxxix] La compresenza di questi due aspetti agirebbe in modo ostativo rispetto al progetto di impero latino, e non possiamo certo dire che oggi, sotto l'esperienza del commissariamento tecnico-economico dei governi e nella caotica frammentarietà di partiti deideologizzati la situazione possa definirsi più idonea sul piano fattuale per la costruzione di un progetto geopolitico sovranazionale alternativo.
Nell'analisi che Kojève svolge sulla possibile collaborazione ed idoneità dei vari partiti politici esistenti in Francia rispetto al progetto di impero latino, di grande rilievo è il rapporto che viene delineato tra formazione imperiale e Chiesa. Nella nascente fase storica di formazione di imperi post-nazionali le Chiese cristiane tra loro separate sembrano abbisognare dell'esistenza di compagini intermedie tra l'umanità e le nazioni.[xl] Si potrebbe quindi osservare un isomorfismo strutturale dal punto di vista geopolitico tra le Chiese separate e le formazioni imperiali: né universalistici, né limitati in un'anacronistica idea di Stato-nazione. La Chiesa cattolica, in questo quadro geopolitico in cui i movimenti imperiali rappresentano l'attualità, acquisirebbe "il patrocinio spirituale dell'impero latino"[xli] e, tenendosi salda alla propria natura di Chiesa potenzialmente universale, ricorderebbe all'impero latino il suo carattere storicamente transitorio all'interno dello sviluppo storico. Il progetto di impero latino nella sua configurazione storica e geopolitica si differenzia dal Grossraum schmittiano per il fatto che esso non esercita, o almeno non primariamente, la funzione di katechon[xlii] perché da un punto di vista geopolitico rappresenta "la forma intermedia tra Vestfalia e Cosmopolis",[xliii] e sul piano storico "prepara e anticipa lo stato mondiale".[xliv]
Questo progetto per una dottrina geopolitica francese e mediterranea seppur si inquadri in un rapporto di opposizione all'unipolarismo anglo-americano e sia schiettamente orientato in una prospettiva multipolare, dal punto di vista storico-escatologico diventa vettore di realizzazione dell'idea di Stato-umanità secondo l'umanismo filosofico di Kojève.
L'8 maggio di quest'anno, a proposito del progetto geopolitico di questo singolare "marxiste de droite"[xlv], è apparso sulla rivista tedesca Die Welt un articolo che, al contrario di quello di Agamben, non è affatto passato inosservato. Il sociologo tedesco Wolf Lepenies,[xlvi] nella sua risposta al duro documento del Partito socialista francese contro il dogma economico dell'austerità tedesca, chiama in causa la dottrina geopolitica di Kojève di un'unione contro la Germania, che sembrerebbe acquisire fama e simpatie presso la sinistra francese e troverebbe risonanza presso il filosofo italiano Agamben. L'articolo di Lepenies è critico anche verso l'intuizione kojèviana di una Germania che persegue i propri vantaggi economici all'ombra di un blocco euro-atlantista. Tale episodio è significativo sul piano negativo: un articolo di un quotidiano tedesco conservatore di oggi, fondato dalle forze inglesi vincitrici nel 1946, rivolto contro il progetto geopolitico alternativo da un filosofo francese pensato nel dopoguerra non può che assumere rilievo sotto il profilo della teoria geopolitica contemporanea. Il binomio Germania-Eurolandia, col suo potenziale destabilizzante per il continente europeo e in particolare per i paesi mediterranei europei, può essere ridiscusso solo a partire dalla critica al suo fondamento geopolitico euro-atlantista, come intuì Kojève all'indomani della Seconda Guerra Mondiale.
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