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L’utopia positiva e concreta

Creato il 21 dicembre 2013 da Dialogosiuris

In un contesto di coappartenenza e di responsabilità condivisa, dove la diversità non dispone in sé del proprio centro, ma la comune centralità è nel trascendersi nella verità, all’unità del senso, che dalla verità trae la propria essenza e la propria energia policentripeta, si affianca l’articolazione interna dei molti linguaggi nel discorso che esplica questo senso veritativo, quale asse motrice di azione e di sviluppo dell’operare dell’ordinamento. Questa unità del discorso, infatti, «non serve soltanto a comunicare le intenzioni dei partecipanti, ma soprattutto a tessere una forma di vita in comune» (F. Viola – G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del Diritto, Laterza, Roma-Bari, 2002, 452).

Tenendo ferma l’attenzione a una prospettiva metagiuridica della problematica inerente la legittimazione e i limiti dell’ordinamento giuridico, per il filtro di una lettura positiva dell’utopia, occorre recuperare una comprensione sempre aperta, razionale e relazionale del reale quale possibilità di novità. Nella sua accezione positiva, come già più volte ribadito, è possibile trovare nell’utopia la sollecitazione a superare ogni sistema chiuso di pensiero e ogni ideologia, per orientare la società verso una sua trasformazione positiva.

Nella Lettera apostolica in occasione dell’ottantesimo anniversario dall’Enciclica Rerum novarum, anche il Papa Paolo VI ha sottolineato l’importanza dell’utopia per una interpretazione delle dinamiche sociali in prospettiva di uno sviluppo umano all’insegna della verità e della giustizia. Si legge nel testo del documento: «Da dove viene la contestazione che nasce un po’ ovunque, segno di un disagio profondo, mentre si assiste alla rinascita di “utopie” che pretendono di risolvere il problema politico delle società moderne con più efficacia delle ideologie? Sarebbe pericoloso non ammetterlo: l’appello all’utopia è spesso un comodo pretesto per chi vuole eludere i compiti concreti e rifugiarsi in un mondo immaginario. Vivere in un futuro ipotetico rappresenta un facile alibi per sottrarsi a responsabilità immediate. Bisogna però riconoscere che questa forma di critica della società esistente stimola spesso l’immaginazione prospettica, ad un tempo per percepire nel presente le possibilità ignorate che vi si trovano iscritte e per orientare gli uomini verso un futuro nuovo; tramite la fiducia che dà alle forze inventive dello spirito e del cuore umano essa sostiene la dinamica sociale; e se non si nega a nessuna apertura, può anche incontrarsi con il richiamo cristiano» (Paolo VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, 14.5.1971, in AAS LXIII (1971), 426, n. 37).

Paolo VI evidenzia tre caratteristiche essenziali dell’utopia: la funzione critica, la funzione prospettico-profetica e la funzione dinamico-creatrice. Quando l’istanza utopica si inserisce in una dinamica che ha al proprio centro il logos, quale autentica sintesi tra verità e temporalità, libertà della persona e situazione storica entro la quale la persona agisce, l’utopia si fa concreta, non solo perché attiva e plasmatrice di storia, come accadrebbe anche con l’ideologia, ma perché primariamente si radica in un evento di senso che irrompe nella storia, come esigenza e testimonianza della verità, ed è per questa ragione che l’utopia diventa profetica; e infine, l’utopia testimonia la sua funzione dinamico-creatrice nel promuovere con energia una prassi nuova.

Anche per quanto riguarda l’ordinamento giuridico, l’insistente esigenza a sviluppare una immaginazione prospettica per percepire le possibilità del presente e orientarle alla novità dei vasti orizzonti del futuro, attraverso un uso ampio della ragione, impone che non vi sia chiusura alcuna che ridondi in una vuota razionalità. A un robusto realismo scientifico, infatti, capace di esaminare, configurare e offrire risposte alle istanze sociali, nel pieno rispetto delle loro oggettive complessità, occorre abbinare una indispensabile lettura dialogico-veritativa del fenomeno societas e proiettarlo al futuro nella prospettiva dell’utopia.

Questa utopia decisamente concreta e positiva che si presenta come un orizzonte di futuro è fondata sulla verità e opera entro il dinamico intrecciarsi alla storia degli uomini, orientandola in una direzione sempre nuova e umanizzante, e questo «nel senso che il rapporto tra le persone sarà tanto più vero (eticamente e giuridicamente), quanto più vera (e piena) sarà la comprensione del mistero della persona umana e, di conseguenza, la comprensione del suo rapporto con l’alterità, in cui la persona si realizza promuovendo la realizzazione dell’altro» (P. Coda, L’agape come grazia e libertà, Città Nuova, Roma 1994, 162). È così che l’utopia concreta si pone come critica e superamento delle restrizioni ideologiche per proporsi a essere, nella libertà del dialogo e della relazionalità, struttura regolativa dell’agire in societate: maggiore sarà la comprensione dell’alterità, maggiore sarà la comprensione della persona, maggiore sarà il rapporto tra le persone strutturato secondo verità e giustizia.

In tale ottica, l’ordinamento giuridico trova la sua legittimazione nella capacità di animare la dialettica sempre presente fra la realizzazione dell’ordinamento che incessantemente si alimenta di e alimenta a sua volta il cammino della storia e l’apertura al compimento di bene che trascende il tempo. È questa l’utopia concreta che guida e illumina dall’interno l’ordinamento, indirizzandolo verso il vasto orizzonte del giusto, quale regolazione storica dei rapporti tra i soggetti, e insieme del bene, quale regolazione storica dei rapporti tra i soggetti misurata dalla verità. È così che l’utopia si offre come programma che assume su di sé, realisticamente, le sfide del nostro tempo, traducendole in soluzioni concrete.

A. Iaccarino, Legittimazione degli ordinamenti giuridici tra mito e utopia, in G.L. Falchi – A. Iaccarino, Legittimazione e limiti degli ordinamenti giuridici, 2012.



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