Permetterà di tagliare la realtà, come nel montaggio di un film. Ma ne beneficeranno solo i qubit
di Andrea Signori
Ecco, l’hai combinata bella, come tuo solito. E sei alla disperata ricerca di un modo per cavartela, anche stavolta. Mentre sfiduciato già ti figuri l’ingloriosa fine che attende le tue gesta, vorresti sparire come fa Harry Potter sotto il mantello dell’invisibilità. Se sei davvero convinto che sparire sia ormai l’unico modo per farla franca, per non sentirti perduto. La mente di alcuni scienziati ha partorito proprio quello che fa al caso tuo. Sul “Journal of Optics” è stato pubblicato pochi giorni fa il progetto di un mantello per l’invisibilità spaziotemporale, un dispositivo in grado di nascondere gli oggetti agli occhi degli osservatori e perfino di rimuovere (in apparenza) brevi intervalli di tempo dal susseguirsi degli eventi. Ma con te funzionerà solo se sei un qubit.
Musica, film, libri, fumetti: in tanti hanno raccontato le gesta dell’”uomo invisibile”. Nel 2006 questo topos letterario ha mosso i primi passi verso la realtà attraverso due articoli pubblicati su “Science”. Per capire come ciò sia possibile facciamo un passo indietro.
Come mai vediamo gli oggetti intorno a noi? A meno che non siano candele o lampadine, evidentemente quegli oggetti non brillano di luce propria come il Sole e le altre stelle. Siamo consapevoli del computer davanti a noi e della scrivania su cui è poggiato perché la luce di una lampada li illumina e viene riflessa verso i nostri occhi. Se però la luce non li colpisse, non ci arriverebbe alcuna informazione. Questa è la chiave dell’invisibilità: si dovrebbe concepire un materiale che convogli la luce attorno all’oggetto da rendere invisibile, senza mai colpirlo, in modo che non possa inviarci alcuna immagine.
Come acqua che fluisce attorno a, un ostacolo la luce aggira la sfera interna. In questo modo agli occhi di un osservatore arrivano unicamente immagini di ciò che le sta attorno, rendendola così invisibile. La sfera esterna rappresenta il metamateriale che curva opportunamente il cammino seguito dalla luce. Il fenomeno è raffigurato in due (A) e in tre (B) dimensioni. (Cortesia: American Association for the Advancement of Science)
Questi metamateriali vengono sintetizzati artificialmente un atomo dopo l’altro, forzando la luce a percorrere il cammino voluto. Studi approfonditi sono stati condotti da Ulf Leonhardt, dell’Università di St. Andrews, in Scozia, da John Pendry, dell’Imperial College a Londra, e da David Schurig e David R. Smith, della Duke University a Durham, negli Stati Uniti. I loro risultati sono stati pubblicati nel 2006 su “Science” in due articoli: “Optical Conformal Mapping” e “Controlling Electromagnetic Fields”.
Il recente articolo del “Journal of Optics”, dal titolo “A spacetime cloak, or a history editor”, firmato da Martin McCall, dell’Imperial College, Alberto Favaro, Paul Kinsler e Allan Boardman, dell’Università di Salford, in Inghilterra, si spinge oltre. All’invisibilità spaziale prodotta con i metamateriali viene ora aggiunta la dimensione temporale. Sempre lavorando sulla morfologia del metamateriale si può eliminare (almeno in teoria) una sequenza di avvenimenti dal corso degli eventi. Proprio come tagliare un video durante la fase di montaggio.
L’invisibilità spaziale non è pura teoria: la sua realizzazione pratica è alla portata dei laboratori di ottica più avanzata. Al contrario l’attuazione dell’invisibilità spaziotemporale alla scala dei metri e dei secondi pone problemi insolubili: si calcola che per “tagliare” una sequenza di pochi minuti sarebbe necessario un metamateriale in contrasto con le leggi della fisica. Infatti dovrebbe convogliare la luce a una velocità superiore al limite invalicabile di c. Per giunta avrebbe dimensioni maggiori della Terra stessa.
Ma, si sa, gli scienziati non gettano facilmente la spugna. Il team guidato da McCall ha calcolato quali intervalli di spazio e di tempo possono essere resi invisibili senza violare la velocità limite, annunciando che entro un anno si realizzerà il dispositivo in 30 centimetri di fibra ottica per una durata di 30 miliardesimi di secondo.
Ulf Leonhardt resta comunque scettico sull’attuazione di questo progetto, perché l’attuale tecnologia non permette di manipolare facilmente la fibra ottica. Ma in una dichiarazione rilasciata a “Nature” riconosce pienamente la grande portata teorica del lavoro di McCall e dei suoi colleghi.
A questo punto sorge spontanea una domanda: a che pro? Ovvero: chi potrebbe beneficiare di un’invisibilità di pochi miliardesimi di secondo? Risposta: i qubit, i costituenti fondamentali dei computer quantistici. La meccanica quantistica stabilisce infatti che la non osservabilità è condizione necessaria affinché i qubit possano essere usati nella computazione quantistica.