Premetto che di cinema ne so davvero poco, e di questo regista pure.
Però vedere quest’altro film di Herzog del 1977, così solitario e silenzioso nella sua disperazione, mi ha dato qualcosa che non credo necessiti di anni e anni di studio sul cinema.
La trama è semplice e diretta, in modo disarmante: Stroszeck è un giovane fallito, appena uscito di galera dopo due anni di reclusione per ubriachezza molesta e recidiva, e ora di nuovo libero nella sua Berlino desolata e post-industriale ricerca un nuovo contatto col mondo esterno. Reietto, povero e solo, l’unica cosa che lo fa sopravvivere è stare ore e ore seduto al suo pianoforte scassato, o suonare una vecchia fisarmonica agli angoli della strada, come fosse dentro un angusto teatro, fatto su misura per lui.
Un giorno conosce una prostituta senzatetto, Eva, con cui instaura una strana amicizia, e insieme al vecchio affittuario del suo appartamento, Scheitz, forma una bizzarra, piccola famiglia, unita dal sogno di una vita migliore, lontano dal grigio della metropoli tedesca.
I tre allora decidono di tentar fortuna sbarcando in nave negli Stati Uniti, dove la vita all’apparenza sembra piena di opportunità e speranze ma che poi si rivela solo un incubo crudele, in cui gli uomini soggiogano il loro prossimo attraverso meccanismi più subdoli e striscianti e tutto il vuoto di Berlino è ora ancora più meschino e a portata di mano.
Eva, dopo aver tentato inutilmente la carriera di cameriera, lo lascia per due camionisti, così scatta in Stroszeck la scintilla. In preda a uno strano delirio decide di combattere tutto il mondo che lo circonda e che fin da piccolo l’ha sempre oppresso e condannato, perchè diverso, inutile e debole.
Con l’aiuto del suo vecchio e unico amico, decide di rapinare una banca, ma senza alcun successo e Scheitz viene incarcerato. Solo e completamente sopraffatto dagli eventi si abbandona a se stesso e rimane affascinato da un grottesco parco divertimenti, finchè in compagnia della sua pistola, dall’altezza di una giostra, mette fine alla sua schiacciante solitudine.
Questo può sembrare un dramma eccessivamente tragico e fine a se stesso, ma non lo è. Non c’è nessuna nota di pietismo nell’occhio di Herzog, anzi il film ha spesso dei risvolti più che altro puntati a ridicolizzare il sogno americano e l’America stessa di quegli anni, con un sarcasmo tagliente e visionario.
Come la scena finale all’interno del parco divertimenti, in cui viene inquadrata a lungo una gallina ballerina e un’anatra percussionista, avvolte in un baccanale blues, che continuano così a perpetuare la ballata eterna, dolente e grottesca di Stroszeck.
Bruno S., (il protagonista, che ha lo stesso nome anche nella vita), era un operaio disoccupato che, dopo il ruolo unico centrale nell’altro celebre film di Werner Herzog L’enigma di Kaspar Hauser, era stato di nuovo scelto dal regista tedesco, che aveva scritto in tre giorni una sceneggiatura basata proprio sulla vita stessa di Bruno.
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