C’era una volta una bambina che amava un fiume. Il suo non era un amore qualunque, ma uno di quegli amori che ti scelgono all’improvviso e che fanno dell’altro un essere assolutamente speciale, unico al mondo.
E quello che la bambina voleva era essere del fiume. E il modo in cui aveva pensato di realizzarlo era correre con lui, al suo fianco, fino al mare, dove lo avrebbe riconosciuto, proprio nell’attimo della sua sparizione, l’avrebbe visto e riconosciuto.
Il fiume aveva cercato di dissuaderla, perché sapeva che il suo era un amore pericoloso. Conosceva l’amore degli uomini per il fiume e sapeva che non dura, ma sentiva che la bambina era diversa, che la sua ferocia non ammetteva ostacoli e che era così rapita dalle sue voci da non ascoltare alcun consiglio o ribattere più veloce del guizzo di una trota.
La sua corsa era iniziata una notte, dopo un sogno affollato, la bambina aveva tracciato un arco nell’aria con le lenzuola e senza esitazione, si era infilata stivali e giacca a vento e era scesa al fiume e aveva cominciato a corrergli al fianco.
“Cosa fai? – aveva chiesto il fiume – Perché non sei sotto le lenzuola di tela, questo lenzuolo di nebbia non ti conosce e potrebbe sparirti.”
“Voglio sposarti. – gli bisbigliò di sbieco la bambina ancora nuova alla corsa – La nebbia sarà il mio velo. Voglio scoprire cos’è quel di più di io e tu.”
“Sono un fiume, – le spiegò lui – non mi fermo mai. Saprai abitare ognuno dei tuoi passi fino all’assoluta solitudine, saprai dimenticare gli altri?”
“Io sono del fiume. – rispose malinconica la bambina – conosco il tuo nome segreto, Sempremai ti chiami, sei un essere destinato, segui il tuo corso, non posso amare gli uomini perché non hanno più destino, non seguono alcun disegno, sono travolti.”
“Saprai tacere le notti di disgelo mentre scopro i loro morti? Saprai continuare a corrermi al fianco mentre suscito i loro amori e scavo nei loro cuori, sola? Sarai la mia cantastorie?”
La bambina tacque, sapendo che l’unico sì che un fiume può ascoltare è solo un profondo silenzio senza opposti.
C’erano giorni e notti di ghiaccio in cui la bambina con le unghie incideva sul corpo del fiume il suo “sono qui”; c’erano primavere in cui i pesci le porgevano muti i loro eventi di fiume perché lei li cantasse; c’erano rovi che le aprivano la carne; c’erano uccelli che la commiseravano lanciandole penne azzurre e grida di conforto; c’erano lune immense che andavano a pezzi nell’acqua e sottili lune, come capelli d’argento che si scioglievano nel fiume. C’erano rumori di uomini, visioni di cattedrali e di villaggi, di città e di templi solitari, tutte le tradizioni di paura degli uomini scorrevano accanto al fiume e alla sua cantastorie. E il fiume continuava il suo corso, non obbediente, scelto, e la bambina gli correva al fianco.
Arrivarono una sera alla foce, la bambina vide il punto esatto in cui il fiume senza esitazione alcuna si tuffava nel mare e mescolava le sue acque col sale e non era più il “suo” fiume, ma acqua nell’acqua. Corse, ferendo l’aria, nell’acqua e mise il suo piccolo corpo esausto a scudo del fiume, con tutta la sua ferocia, a braccia spalancate, accolse il suo sposo. Ogni cellula del suo corpo urlava:” Ti riconosco, io ti riconosco.”
Con i campanelli delicati della sua ultima voce, il fiume scrisse sul palmo della mano destra della bambina “sempre” e su quello della mano sinistra “mai”.
Allora la bambina congiunse le mani, e si tuffò.
Sentì la giacca a vento coprirle le spalle e il capo, come una morbida onda, gonfiarsi oltre le braccia, sentì la testa e il corpo diventare immensi, risentì il suono dei campanelli del fiume che si getta nello sconosciuto, sentì di contenerlo e di contenere il mare e il cielo e tutto quello che nel cielo si muove e tace. Capì di essere fatta di ogni cosa, persona, attimo incontrati prima, durante e dopo la corsa. E seppe che solo grazie alla sua assoluta solitudine ora l’altro non era che lei in un’altra forma e che perdersi significa abbandonarsi a qualcosa che ci sorpassa.
E il fiume continua a scorrere e la bambina a raccontare, sempre, mai.
Livia Candiani da Sogni del fiume