“…They’ll destroy us all in the end
They’re anti UK
Anarchys rising again
To rid their hellish schemes
Lets all rule ourselves
Let god save the queen…”
The Exploited, Anti –UK
“Alla fine ci distruggeranno tutti, sono anti UK , gli anarchici sono di nuovo in aumento per liberare i loro diabolici schemi , governiamoci e che dio a salvi la regina”
È a ritmo di cassa dritta che Trevor fa la sua entrata davanti al giudice. Per l’ennesima volta e’ stato arrestato per furto e atti vandalici e alla sua deprimente lista di accuse si aggiunge il fallimento scolastico e il totale disinteresse per il mondo del lavoro.
Quella di Trevor non è una delle tante storie lette sui giornali i giorni dopo gli scontri avvenuti a Londra nell’agosto 2011, ma l’avventura di un giovane skinhead nell’Inghilterra degli anni ’80. Siamo ai tempi di Mrs Margaret Thatcher, quelli della decadenza sociale e della formazione di forti correnti culturali.
Altra scena, altra musica, ma stessi problemi e stessa rabbia.
Made in Britain è il film di quella Londra, un lavoro di 75 minuti originariamente scritto per la TV da David Leland e diretto da Alan Clarke, regista che ha saputo raccontare con grande verità e distacco il disagio sociale e la violenta repressione culturale che alimentavano le strade di una grande nazione.
Un film che racconta, anche se con una visione estrema, i meccanismi dietro la lotta delle piu grandi delle utopie: la libertà.
Siamo nella periferia di Londra e Trevor (Tim Roth) è un ragazzo di sedici anni con un’indimenticabile svastica tatuata sulla fronte e una promettente carriera da teppista. È arrogante e irascibile. È come una molotov, imprevedibile e distruttivo, pronto ad esplodere comunque e dovunque senza un target preciso. Ma è anche incredibilmente intelligente, articolato e a modo suo integro, non si lascia convincere, non si lascia comprare. Difficile da amare ma anche da odiare. Il suo assistente sociale riesce a riconoscergli queste qualità e spera che un periodo in un istituto appropriato, invece che la galera, possa aiutarlo a reintegrarsi nella società. Ma Trevor non crede nel concetto di società e collaborazione ed e’ puntualmente contro tutti. Non sta alle regole, è sempre in cerca di attenzioni, di cibo, di soldi ed esige tutto e subito. Nonostante la possibilità che gli viene data, continua nel suo circolo vizioso di furti, vandalismo e aggressioni. Il suo è uno strano odio, non ha a che fare con un’ideologia in particolare o con una razza, il suo è un odio primitivo e tribale, e’ rivolto verso tutti coloro che sono diversi da lui e hanno ciò che lui non ha. Trevor è naturalmente portato a rompere le finestre dei negozi, soprattutto se asiatici, ma anche spontaneo nel collaborare con il suo compagno di stanza Errol, un ragazzo di colore anche lui approdato nell’istituto.
Infatti Trevor non è lo stereotipo dello skinhead, ma un individuo che ha fatto i suoi ragionamenti, che è cosciente delle sue azioni e del suo destino. Semplicemente non scende a compromessi.
La sua è la risposta lucida e arrogante di chi reagisce alle politiche sociali e a i sistemi educativi del suo tempo con l’indifferenza e la forza dei suoi sedici anni.
“È il tuo cazzo di mondo, amico, non mio. Puoi infilartelo su per il culo, io non lo voglio! ” (Trevor).
Insomma, una bella gatta da pelare per le autorità e per una nazione conservatrice che credeva/crede nel proprio sistema educativo, in quel “made in Britain” che felicemente si leggeva sugli adesivi della maggior parte dei prodotti. Anche Trevor è made in Britain, la società lo ha creato e ora di lui non sa che farsene, ed è forse per questo che, invece di essere parte di quel mondo, Trevor preferisce tatuarsi una bella svastica in fronte e infilarsi alti Dr Martens rossi.
Attenzione però, Trevor non è certo una vittima anzi, il potere gli piace e gli piace esercitarlo, più lo vede attorno a sé e più gli piace.
Più si sente messo alle strette e più la sua voglia di controllo e la sua rabbia aumentano. Poi però è solo Trevor a restare in isolamento.
La sua storia ricorda a tratti quella di quel Alex del famoso Arancia Meccanica (Kubrick, 1971 ), entrambi sono personaggi che inneggiano si alla violenza e al potere ma che poi in fondo sono loro stessi ad esserne vittime.
Made in Britain viene girato quasi interamente con l’uso della steadicam che permette al regista di seguire Trevor costantemente e da vicino, ma con una certa freddezza.
Lontano da voler farcelo amare, Clarke crea un personaggio carismatico e cinematicamente interessante, attraverso il quale analizza un’epoca che non sembra poi essere cosi lontana. Non giudica e non assolve Trevor per il suo comportamento violento, ma suggerisce una riflessione sulle molteplici forme di violenza che esistono in tutti i sistemi di potere e ciò che questi sistemi generano di conseguenza. Un film che può essere rivisto in chiave moderna basta solo sostituire gli skinhead con gli “hoodies”: gli incappucciati .
“ Quant’e’ misera la vita negli abusi di potere” (F. Battiato, “La voce del Padrone”)
Carla Castadiva Cuomo
Scritto da Carla Cuomo il ago 25 2011. Registrato sotto LONDON SCENE, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione