Non questo surrogato di bellezza potrà salvare il mondo, fatta pasto quotidiano di fauci ingorde, palati grossolani inadatti alla contemplata degustazione; ridotta in poltiglia, deglutita e rigettata. Ne abbiamo riempito ogni minimo spazio, nel nostro horror vacui quotidiano, sospeso nell’eterno divenire del presente. Non sospensione estatica, mistica o estetica, ma dall’odore penetrante dell’autentico.
Non questa bellezza di plastica, replicata ad ogni angolo di strada, potrà salvare il mondo. L’ipertrofia delle sue forme potrà riempire l’occhio, non catturarlo nella magia che dilata il tempo. L’aura violata, contraffatta, sezionata è divenuta cimelio d’ornamento del nulla che dilaga. Non più distillato di spirito del mondo o del tempo, ma protesi di un ego che non trova altro modo per affrancarsi dall’aurea mediocrità.
Non questa bellezza diluita e spalmata, come balsamo miracoloso d’un Dulcamara qualunque; non questa bellezza senza ombre, senza psiche, senza istinto; non questa bellezza stereotipata, frigida. Il mondo ha disinnescato la bellezza e abolito la salvezza. Dio, o chi per lui, può salvare a stento le apparenze.