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La bibliotecaria di Raleigh

Da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Se qualcuno avesse osato chiederglielo, Dora Broomfield non avrebbe mai affermato di essere felice, ma nemmeno il contrario: per dirne una, il piccolo appartamento dove viveva era di sua proprietà; non aveva la macchina, è vero, ma non ne sentiva la mancanza (né avrebbe saputo guidare, nonostante avesse preso il permesso quasi mezzo secolo prima). I genitori morti da molti anni e i suoi pochissimi familiari sparsi per il mondo erano ridotti a vaghi ricordi di infanzia che non suscitavano dolore né nostalgia, e il suo carattere taciturno non le aveva creato attorno quella rete di amicizie o semplici simpatie che pare indispensabile alla maggior parte di noi. E se c’era una cosa che miss Broomfield detestava di cuore, erano le associazioni, i circoli o le parrocchie che facevano a gara a riunire in piccoli gruppi ciarlieri tutte le signore di Raleigh.

Se qualcuno –ammesso che si fosse trovata una persona abbastanza in confidenza- se qualcuno insomma avesse osato (perché miss Broomfield aveva a volte uno sguardo pungente molto sgradevole) dirle che era una persona sola, con quel preciso sguardo Dora lo avrebbe fulminato.

Allo stesso modo aveva messo a tacere generazioni di studenti (fannulloni che vengono qui solo per attaccare bottone con le ragazze) e studentesse (ragazzette insipide dalla risatina facile quanto le loro gonne) nella grande sala della biblioteca su cui, da una cattedra sopraelevata, Dora regnava in maniera assoluta.

Anche miss Broomfield era poco più di una ragazza quand’era stata chiamata alla biblioteca di Raleigh, dove nei primissimi giorni si aggirava intimorita dalle enormi scaffalature in legno scuro e dall’atmosfera sacrale che aleggiava. Per caso –o forse per un infantile dispetto- si trovò ad ascoltare un gruppetto di studenti che fumavano nei bagni sghignazzando sul conto di Thompson, il suo decrepito predecessore, trovato “stecchito in una pozza di piscio” un lunedì mattina. Visto che nessuno apriva, qualcuno aveva telefonato ai pompieri che avevano sfondato la porta per tirarlo fuori più gonfio di quanto non fosse da vivo, e Dora comprese così anche il motivo della sua repentina nomina in piena estate. Uno dei ragazzi sosteneva che Thompson fosse “crepato” dopo un fatale incontro con il fantasma del vecchio bibliotecario e suo malgrado si fosse aggiunto alla schiera di anime in pena che infestavano gli scaffali più dei tarli della carta.

La giovane miss Broomfield, sgomenta, disperse gli oziosi piombando come un falco sul gruppetto, e da allora si era dedicata anima e corpo a rendere la biblioteca un luogo di pulizia e rigore. Nello sforzo, i capelli chiari avevano lentamente assunto una consistenza di ragnatela, la pelle era ingrigita mentre gli occhiali si facevano via via più spessi; ma finalmente in quella linda, silenziosa biblioteca Dora sembrava specchiarsi. Tornare a casa, cenare, dormire, erano necessità seccanti che cercava di trangugiare velocemente come l’olio di fegato di merluzzo che sua madre la obbligava a prendere da bambina, una seccante routine di inizio o fine giornata: la vita reale era tra i suoi scaffali.

Il bello era che miss Broomfield non leggeva mai. Non aveva tempo da perdere con storie insulse e rime d’amore: dei libri, del loro contenuto –immagini quanto parole- non le importava un bel nulla. Se qualcuno avesse osato chiederlo (e vi assicuro che nessuno lo avrebbe fatto) avrebbe risposto proprio così. Un fico secco. Zero. Tutti quei volumi, quella carta stretta, cucita o incollata, tra due cartoni più spessi, quegli ammassi rilegati di pagine, avevano senso e importanza solo perché necessitavano della sua mano regolatrice, del suo potere catalogante: ognuno di essi era uno scaffale, una posizione, una data di prestito e una di restituzione. Numeri, insomma, precisi, ordinati, infallibili, e su di essi Dora regnava sovrana. Talvolta, al colmo del sensuale appagamento di una giornata di grandi movimenti e rientri, era convinta di udire le voci acute dei libri che le chiedevano –imploravano- di esser rimessi al loro posto.

Mentre si crogiolava nel suo perfetto ordine, un sabato di luglio, apparve nella biblioteca deserta un tizio che Dora non credeva di aver mai visto in città; l’uomo tuttavia sembrava un regolare frequentatore, perché si diresse verso il tavolo dove compilò il modulo senza incertezze, e questo tranquillizzò molto miss Broomfield, che si voltò sollecita per cercare il libro richiesto. Nello schedario risultava allo scaffale 8, posizione L14, tornato di recente da un prestito al vicario di St. Andrew: tutto regolare. Dora procedette spedita, restando giusto leggermente frastornata nello scoprire che il libro non era in quella posizione. Anzi, non era neanche nei paraggi. Né nei resi ancora da rimettere a posto.

Rossa in viso, tornò a controllare il numero, costretta a scusarsi con lo sconosciuto, che –bisogna dirlo- ebbe per lei parole di cortesia e si dispose ad attendere senza mostrare fretta. Miss Broomfield però non poteva perdonarsi la défaillance e si fiondò ancora tra le scaffalature con la furia di una tigre di Mompracem (pur non avendo mai letto Salgari) e la decisione di un battaglione di ussari: il libro era lì e doveva saltar fuori.

Quanto tempo restò poi a cercarlo? Non è dato saperlo, tuttavia quando, con gli occhiali appannati dalle lacrime e i capelli impolverati, tornò finalmente in sala lettura, lo sconosciuto era sparito. Scomparso. Di certo si era seccato per la lunga attesa, e non avrebbe mai saputo che Dora aveva deciso di passare la notte lì pur di trovare il volume mancante all’appello. Determinata a non render pubblica la vergognosa sconfitta, chiuse dall’interno la porta, attorcigliò le maniche della camicetta ormai sgualcita e armata di torcia si accinse a passare al setaccio, scaffale per scaffale, l’intera biblioteca: dalla scheda prestiti il libro risultava lì, e lì sarebbe stato, non poteva sfuggirle in alcun modo. Il mondo avrebbe visto che i numeri non potevano fallire, né poteva fallire Dora Broomfield, a costo di buttar giù tutti i volumi, a costo di rifare tutto l’archivio, a costo di…

Nonostante il plenilunio estivo imbiancasse le colline circostanti, Raleigh dormiva nella notte fonda quando Dora, imbambolata dalla stanchezza e sporca, ma ancora ferocemente decisa a ritrovare quel dannatissimo libro, sentì uno strano rumore provenire dall’ingresso. Alla luce fioca della torcia morente, notò una busta che prima –ne era certa- non c’era. Quel che c’era, invece, era il suo nome scritto a macchina dove di norma si sarebbe trovato l’indirizzo.

Nel suo stato di stupore, non si rese conto di esser rimasta ferma a guardare la busta per molto tempo prima di riuscire a prenderla, aprirla e leggere:

Gentilissima miss Broomfield,

la informiamo con rammarico che, per sue gravi mancanze professionali, siamo costretti a revocare il suo incarico di bibliotecaria.

La revoca è definitiva e inappellabile; abbiamo infatti già provveduto alla nomina di un sostituto a partire da lunedì p.v.

Nessuna firma sanciva la fine di Dora Broomfield, bibliotecaria.


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