Il caso Morgan Stanley e l'interest rate swap.
Che c’entra tutto questo con l’Italia e il suo debito pubblico? Forse la connessione non è diretta, ma il Tesoro il 3 gennaio ha pagato a Morgan Stanley 3,4 miliardi di dollari per uscire da un derivato di tipo interest rate swap (è un titolo che garantisce al Tesoro, a un costo, di pagare un interesse fisso su un debito anche qualora i tassi salgano). Non è chiaro se il Tesoro oppure Morgan Stanley abbia chiesto la rottura del contratto, ma fra le due parti non ci sarebbero state solo conversazioni amichevoli.
Con questa pressione sulle banche ad alleggerirsi dei derivati, si tratta dunque di capire se l’Italia può dover pagare di nuovo per altri divorzi:
In Parlamento, il sottosegretario di Stato Marco Rossi Doria ha detto che il valore «nozionale » complessivo dei derivati emessi sul debito dell’Italia è di 160 miliardi: il 10% del debito emesso dal Tesoro. Di per sé ciò non significa molto. Ma per capire se nei contratti incombano nuove «finestre d’opportunità » per far scattare clausole di rottura dei derivati con le banche, di recente il Tesoro ha fatto una ricognizione interna e stilato un rapporto. Sul 2012 non dovrebbero poterci essere nuovi esborsi, a quanto sembra emergere.
Di certo i numeri forniti da Rossi Doria indicano che l’attività in derivati a partire dagli anni 90 è stata intensa:
Fra gli effetti a metà del decennio scorso, c’è stato un allungamento della vita media del debito da 4 a 8 anni per effetto degli interest rate swap (uno «scambio» di condizioni nella durata e negli interessi sul debito). Ma nessuno davvero ha il quadro completo. Poiché questi derivati su un «nozionale» di 160 miliardi sono «over the counter», non c’è alcuna trasparenza. O quasi, perché da quest’anno le banche americane devono rendere note al regolatore di Washington, la Sec, le loro esposizioni in derivati verso questo o quel Paese. Goldman Sachs per esempio comunica che a fine 2011 aveva derivati «Otc» sull’Italia per 2,12 miliardi di dollari. Jp Morgan invece aveva sull’Italia «garanzie da derivati» per 2,6 miliardi e «coperture di portafoglio» per 3,3 miliardi. Vista l’opacità, appunto, non è chiaro cosa ciò significhi. Almeno fino a quando il Tesoro, proprio perché la situazione appare sotto controllo, deciderà di dare trasparenza totale su questo dossier che tocca da vicino i contribuenti. source