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Tag: 1973, cinema-B, Donald Pleasence, horror, Kevin Connor, Lesley-Anne Down, Peter Cushing
Film a episodi incentrato su una bottega alquanto sui generis.
In breve. Quattro corti per un classicissimo horror inglese con interpreti (Pleasance, Cushing) e regia di tutto rispetto: micro-storie decisamente accattivanti ed archetipiche per il genere.
Film ad episodi della Amicus (che ha prodotto tra gli altri Le Cinque chiavi del terrore, 1964), specializzata nel realizzare microstorie legate da un tema comune: in questo caso il filo conduttore è legato ad un misterioso bottegaio – Peter Cushing in un’interpretazione sopra le righe – che rappresenta una sorta di Hamlin ante-litteram.
Nel primo episodio (“The gate crasher“) si narra di uno specchio venduto dal bottegaio ad uno sprovveduto borghese, il quale – dopo una seduta spiritica – evoca un inquietante fantasma imprigionato all’interno dello stesso: molto presto l’entità lo obbligherà a procurargli vittime per placare la propria sete di sangue, ed il prezzo da pagare sarà pesantissimo. Piuttosto evidenti, a mio avviso, almeno due riferimenti per il cinema successivo: da un lato il demone-vampiro che obbliga la vittima a portargli vittime (ripreso a mani basse da Clive Burker in Hellraiser, per citarne uno), dall’altro lo specchio come sostanziale contenitore di un mondo sinistro ed oscuro (Il signore del male di John Carpenter).
“An Act of Kindness” narra similmente del furto di una medaglia dalla solita bottega: il malcapitato, già vessato di suo da una moglie cinica, calcolatrice e particolarmente aggressiva, incontrerà un venditore ambulante e la propria figlia (Donald ed Angela Pleasance). Legherà molto presto con i due, in particolare con l’inquietante figlia, lasciandosi convincere a commettere un omicidio… Episodio a mio avviso ben ritmato, solo con un vago rallentamento nello sviluppo iniziale della storia, che poi degenera fino ad arrivare ad un imprevedibile – e vagamente grottesco – finale: la tematica voodoo che compare all’interno della storia è quella da cui è partito lo zombi-movie in generale e, anche solo per questa ragione, rende assolutamente meritevole l’episodio (probabilmente uno dei migliori dei quattro).
In “The elemental” un signore truffa il bottegaio acquistando una scatola d’argento: sulla via del ritorno incontra la bizzarra sensitiva Madame Orloff, che racconta di un non meglio precisato Elementario – uno spirito maligno derivato probabilmente dalla mitologia inglese – sulla spalla dell’uomo. Molto presto l’entità invisibile inizierà a tormentare sia l’uomo che la consorte, e sarà necessario l’intervento della Orloff. Episodio dai toni molto più ironici degli altri – il personaggio della sensitiva è davvero uno spasso, anche se l’effetto potrebbe essere stato accentuato dal doppiaggio, per quanto le conclusioni siano egualmente macabre: il diavoletto non si vede neanche una volta,ed è tutto – senza considerare qualche effettino speciale senza pretese – interamente affidato alla mimica degli attori, con risultati apprezzabili per l’epoca. La Orloff perennemente esagitata da un lato, il protagonista mite e misurato dall’altro creano un chiaroscuro davvero memorabile. Il tema della vendetta caratterizza poi questo terzo episodio, con un finale decisamente imprevedibile ed al fulmicotone.
“The Door” è l’episodio conclusivo del film, che si differenzia dagli altri – senza voler anticipare troppo – per il tipo di conseguenze che sviluppa: in esso si narra del giovane William Seaton che acquista dal bottegaio un enorme portone. Esso si rivelerà essere un portale per la stanza lugureb in cui vive un sanguinario killer: elemento surreale, quest’ultimo, che caratterizzerà buona parte degli horror settantiani ed ottantiani. Del resto l’idea di accesso a mondi paralleli mediante comuni elementi quotidiani non è inedita neanche nel cinema recente (basti pensare a Marebito). Per la cronaca la consorte del protagonista non è altro che Lesley-Anne Down, notissima in seguito come attrice di soap opera. Piuttosto simile nella dinamiche al primo episodio, si tratta della degna conclusione di un buon horror dell’epoca, che risente dell’età esclusivamente nel tipo di ritmo che sviluppa al proprio interno e che, per il resto, si lascia guardare gradevolmente.