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Mauro Covavich dà credito alla bufala, degna al più di una puntata del Voyager di Roberto Giacobbo, che, nella Creazione di Adamo affrescata sulla volta della Cappella Sistina, Michelangelo Buonarroti abbia voluto «inscrivere il gruppo di Dio e degli angeli nella sagoma di un cervello umano», e di suo ci aggiunge il dirsi «colpito» dal «fatto che, nella religiosità tormentata di Michelangelo, Dio apparisse in forma d’Intelletto (Nous), ipostasi neoplatonica di qualità cerebrali che l’uomo riceve in dono» (la Lettura/Corriere della Sera, 9.2.2014 – pag. 21). Da dove cominciare per dimostrare che in meno di sei righe è concentrato un gran bel mucchio di puttanate?
Cominciamo col dire che nella prima metà del Cinquecento si sapeva poco o nulla dell’anatomia del cervello, e per una semplicissima ragione: non si era ancora giunti ad approntare un valido allestimento del tessuto cerebrale in grado di consentirne lo studio macroscopico. Trattandosi di un organo che va incontro a fenomeni degenerativi in tempi brevissimi dopo il decesso, all’apertura della scatola cranica gli anatomisti dell’epoca trovavano al più solo un’informe poltiglia. Non è un caso, infatti, che fino alla metà del Seicento gli studi anatomici relativi al sistema nervoso centrale rendessero conto solo delle formazioni più resistenti ai processi putrefattivi post mortem, come i nervi cranici e il tronco encefalico, mentre il rilievo delle formazioni incluse nelle masse emisferiche trova solo riscontro occasionale e per giunta controverso. Bisogna aspettare il Cerebri anatome di Thomas Willis, che è del 1664, giusto cent’anni dopo la morte del Buonarroti, e poi gli studi di Marcello Malpighi, di Giovanni Battista Morgagni e di Xavier Bichat, per avere una descrizione anatomica del cervello degna di questo nome, e in qualche modo approssimabile a quella che Michelangelo avrebbe avuto per modello.Stupisce che il primo a intravvedere nella Creazione di Adamo una sezione sagittale mediana del cervello umano sia stato un neurologo? Tutt’altro, basta non avere dimestichezza con la Storia della Medicina, cosa relativamente comune tra i medici, soprattutto quelli d’Oltroceano, e farsi prendere dalla tentazione, da nefrologi per esempio, di intravvedere l’anatomia microscopica di un tubulo renale, descritta per la prima volta nell’Ottocento, nell’organo idraulico ideato da Ctesibio nel III secolo avanti Cristo. Questo è il genere d’infortunio occorso a Frank L. Meshberger (An Interpretation of Michelangelo’s Creation of Adam Based on Neuroanatomy – Journal of American Medical Association, 1990 – 264 [14]: 1837-41), che in realtà stupisce solo fino a un certo punto, perché anche le correlazioni che egli imbastisce tra i dettagli del dipinto e quelli che dovrebbero essere i corrispettivi anatomici cerebrali sono a dir poco forzati: in buona evidenza, siamo al tragicomico dei fatti sacrificati in una ipotesi nella quale vanno troppo stretti. Non è un caso isolato, d’altronde, basti pensare al più recente tentativo di Ian Suk e Rafael Tamargo, ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, nel Maryland, che qualche anno fa, su Neurosurgery, scrivevano di aver intravvisto l’anatomia della base cerebrale e del tronco encefalico umani sul collo di Dio nel pannello della Cappella Sistina detto della Separazione della luce dalle tenebre.Passi per lo svarione del dottor Meshberger, che non possiamo neanche escludere abbia voluto prendersi gioco dei lettori del Journal of American Medical Association se la sua ignoranza della Storia della Medicina nasconde una sofisticatissima provocazione intellettuale, ma cosa dire del Covacich, che Wikipedia ci assicura avere una laurea in filosofia? In Platone v’è più d’un cenno a una correlazione tra Nous e cervello, questo è vero, e sappiamo che i neoplatonici Marsilio Ficino e Pico della Mirandola ebbero contatti con Michelangelo: anche ammettendo, tuttavia, che per prodigiose virtù divinatorie il Buonarroti avesse nozioni anatomiche del cervello che sarebbero state conosciute solo un secolo dopo, con un committente come il Papato di quei tempi, di solito attentissimo all’aderenza dell’opera d’arte a dettami ritenuti indiscutibili, un artista poteva prendersi certe libertà? Quale era, ai tempi di Giulio II, la posizione della Chiesa riguardo alla filosofia di Platone? Non benevola, diciamo. Bisogna aspettare il primo Novecento per trovare un teologo cattolico che riesca a liberare la teoria platonica delle Idee dall’accusa di contraddire la dottrina, che l’accompagnava fin dal III secolo. In tale contesto, Michelangelo poteva ritenersi libero di raffigurare Dio come un Nous in forma di cervello? Avrebbe mai potuto rappresentarlo come «ipostasi neoplatonica di qualità cerebrali che l’uomo riceve in dono»?
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