Forse sono davvero più forte di quel che sembro.
Dal basso dei miei 50 kg, reduce da una lunghissima serata di musica (suonata, ascoltata e in parte vissuta), una di quelle serate che ti spremono anche l’anima, stamattina ho fatto la tradizionale buona azione non richiesta: donazione Avis.
Un impegno che sono estremamente orgogliosa di portare avanti.
Anche quando, come oggi, il semplice stare in piedi è un’impresa da titani.
Ti ritrovi a guardare ago e macchinari e ti rendi conto che oltre al sangue-vita materiale c’è ben altro da dare: il sangue-vita metaforico. Un sorriso, una bella parola, musica suonata bene e con sentimento: anche questi sono elementi indispensabili per la vita, tanto quanto una sacca di sangue.
Sarebbe fantastico riuscire a donare sangue-vita metaforico con la stessa facilità con la quale si dona sangue-vita materiale.
Ad ogni modo.
L’endovena di Joe Jackson (che mi ha accompagnato anche stamattina in ospedale, ma che ormai non sopporto più) mi ha fatto venire una certa allergia alle batterie secche, impersonali, troppo quadrate e al tempo stesso poco precise.
Già sulla strada del ritorno, il pensiero è corso al mio rifugio musicale per eccellenza: la splendida Layas, che mi ostino ad attribuire al buon Pastorius anche se so perfettamente che è di Michel Colombier.
Layas ha cucito addosso un fascino che non riesco a descrivere a parole.
E’ quel fascino impalpabile, irrazionale che bypassa la ragione e senti solo sulla pelle.
Non riesco a capire perché, ma la batteria di Steve Gadd, qui, mi fa impazzire.