Esiste un nemico potente, contro cui chi scribacchia nemmeno scende in campo, perché non lo considera affatto tale. È Golia, appunto, un gigante fatto di parole.
Si crede che gettando sul foglio paragrafi su paragrafi, otterremo qualcosa di grande e di ottima fattura.
Ciò che rende una storia efficace e interessante non sono mai il numero di pagine o di parole, bensì la loro forza. L’errore nasce dall’idea che la narrazione sia un po’ come vendere aspirapolveri porta a porta: se affoghi la massaia, lei acquisterà.
Le massaie ormai non comprano più nulla, i soldi stanno terminando.
Non solo. A volte chi si misura con la pagina, lo fa perché un amico, o un’amica, gli ha detto: “Sai, racconti le cose così bene che sembra di vederle”.
In seguito aggiunge: “Perché non provi a scrivere?”.
Qui l’asino casca e si fa pure male. Gesti, sguardi, ammiccamenti, erano un aiuto formidabile quando si era seduti al bar; evaporano sulla pagina scritta, sono alleati inutili. Questa è la prima sfida che ci si trova a dover superare.
La seconda, è di rimpinzare la storia di parole, parole, parole. In fondo, a scuola i compiti di italiano filavano via che erano un piacere, giusto?
Sbagliato. Per una valanga di ragioni che si possono riassumere in questa frase: di solito gli insegnanti di italiano vogliono il foglio pieno di inchiostro, e privo di errori. Quindi, scatta la sufficienza, o l’ottimo. E lo studente è persuaso di saper scrivere.
Sbagliato, appunto. L’aspirante scrittore questo errore se lo porta dietro per anni, ma gioiosamente perché certo di essere bravo. Confonde l’esecuzione di un compito senza troppe sbavature, col talento.
Quando si rende conto (ma di solito accade di rado), del formidabile errore, inizia lentamente a crescere.
Il Golia in realtà, non è un nemico esterno, bensì interno, che si è sviluppato in anni e anni di cattive abitudini. Propagate dalla scuola dell’obbligo, purtroppo, poi dai licei, e infine dall’università.
Lo scrittore esordiente è Golia, mentre dovrebbe essere Davide. Che significa?
Davide usa il minimo indispensabile per ottenere interesse ed efficacia. Non usa molte parole, ma quelle giuste, le più potenti. Non ha fretta. Si prende dei rischi perché accetta di affrontare uno dei mestieri meno gratificanti del globo.
Non teme di riscrivere, tagliare, amputare, abbattere il Golia che crede ancora alla scrittura come sfinimento del lettore.
Soprattutto, costui crede nella forza della parola, e sa che questa non si manifesta nella quantità, ma nella qualità.