La Caccia di Diana e la caccia dei collezionisti

Domenichino, la caccia di Diana

Dietro ai quadri spesso si celano storie intrigate, storie anche di soprusi e di prevaricazioni dei collezioni sti nei confronti degli artisti. Artisti spesso in completo potere dei propri committenti. E' questo il caso del dipinto conservato sempre a Galleria Borghese a Roma, La caccia di Diana. Ma partiamo con ordine: Scipione Borghese era un collezionista che combinava passione e avidità, grande senso dell'estetica con scarso senso dell'etica!!! Insomma un vero italiano! Fece fallire il Cavalier d'Arpino per acquistare i suoi dipinti; non si applicò a graziare Caravaggio per risparmiare sui prezzi e fece mettere in galera, anche se per poco tempo, il Domenichino bolognese, il quale si spaventò talmente che se ne scappò poi in Emilia e a Roma non rimise più piede.Lo scopo di quest'ultima prevaricazione era il convincere l'artista a cedergli La caccia di Diana appunto, che era stato commissionato dal suo predecessore, il cardinal Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, il quale, di clemente aveva ben poco, e passò alla storia per il truce caso di Beatrice Cenci e quello intellettualmente ancor più funesto di Giordano Bruno.Stava nascendo il barocco e le pelli candide delle amiche di Diana apparivano come potenti amuleti per allontanare la crudeltà che caratterizzava il mondo dell'epoca e i fatti che lo attraversavano.I pittori bolognesi arrivati a Roma in seguito a Gregorio XIII, i Carracci, l'eccellente Guido Reni, Domenichino, avevano dato nuova vita al manierismo estenuato: ancora una volta, i pittori provenienti dalle periferie, rinvigorivano la capitale. E l'avido Scipione, come un collezionista d'oggi, comperava il nuovo (La caccia di Diana) e lo storico già sancito (l'Amor sacro e l'Amor profano di cent'anni precedente).