Magazine Cinema
di Fede Alvarez
con Jane Levy, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci
Usa, 2013
genere: horror
durata, 91'
Il primo amore non si scorda mai. In questo frangente però bisognerebbe usare il plurale perchè per Sam Raimi "La casa" rappresenta non solo il genere prediletto, quello che lo ha lanciato tra i maestri indiscussi del settore, ma anche il film che ne ha leggittimato lo status di regista di culto, tramandandone una fama che non ha perso un minimo di fascino nonostante il cambiamento di registro delle sue ultime produzioni. Anzi proprio a ribadire un attaccamento che assomiglia ad una seconda pelle Raimi ha continuato a lavorare nel cinema horror per interposta persona producendo le opere di colleghi più giovani che però, bisogna dirlo non sono stati mai all'altezza del loro mecenate. Nel tentativo di invertire la tendenza Raimi alza la posta, riduce le distanze che separano il regista dal produttore, e ci regala una nuova versione di quel primo film affidando il comando ad un esordiente come Fede Alvarez, passaporto paraguayano ma talento cosmopolita se è vero che il suo primo lavoro, il corto "Panik Attack" è stato capace di calamitare l'attenzione di migliaia di fan e soprattutto di convincere Raimi ad affidargli la sua corrazzata.
Il risultato di tale connubio è un remake riveduto quel tanto che basta per aggiornare la storia alla sensibilità delle nuove generazioni (in questo caso è la dipendenza dalla droga di uno dei protagonisti a mettere in moto la vicenda), e che racconta l'odissea di un gruppo di amici costretti a fronteggiare le conseguenze di un'antica maledizione. Isolati dal resto del mondo ed asserragliati dentro una casa di campagna i ragazzi diventeranno oggetto di una crudele carneficina messa a punto dal demone di turno. Spogliato della vena grottesca di cui era pervano il modello originale, e senza portare in dote alcuna innovazione visiva rispetto al film di Raimi (del quale ricordiamo la soggettiva ipercinetica e rasoterra che annunciava l'arrivo del maligno), "La casa" di Fede Alvarez denuncia il segno dei tempi perchè se da una parte dimostra le sue possibilità con una messinscena meno rudimentale e con un senso dello spettacolo riassunto dai giochi di luce e dai contrasti di una fotografia lontanissima da quella piatta e luminosa utilizzata a suo tempo da Raimi, dall'altra non riesce ad alzare l'asticella della tensione e dello spavento a causa di un canovaccio prevedibile e scontato. Preferendo l'evidenza alla sottrazione, il corpo alla mente, il visibile al sommerso, Alvarez costringe il film ad una continua compulzione con scene madri e situazioni limite ripetute in fotocopia e per questo prive di sorpresa .Così pur in presenza di momenti riusciti come quello della pioggia di sangue che ad un certo punto sembra annunciare una catarsi poi rimandata, oppure al duello finale che assume una dimensione claustrofobica rifugiandosi nelle viscere più anguste dell'abitazione, "La casa" passa via senza lasciare alcuna traccia. Interessante notare la similitudine con il film di Rob Zombie da poco nelle sale, di cui Alvarez replica la scelta di un uso moderato della C.G., con i "mostri" filmati dal vivo ed interpretati da attori in carne ossa oppure da robot. Un effetto naif che individua un modo di fare cinema che mette in scena il passato senza alcuna alterazione, rinunciando almeno per una volta al frullatore post-modernista.
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