Ultimamente, ma forse solo per ingannare l’attesa, leggo saltando da un libro all’altro. So per certo che non è il miglior esercizio da praticare, ma in questo momento non riesco a fare diversamente. In un certo qual modo è come se possedessi una seconda casa. Così finisce che sul tavolinetto a fianco del letto c’è una pila di libri tutti iniziati ma non abbandonati. Ogni libro è a suo modo una stanza diversa nella sua accoglienza come si confà ad una vera abitazione fatta e finita. Passo il tempo ad entrare e uscire da queste stanze in maniera ossessiva, come un vecchio che non si ricorda più o non vuole ricordarsi dove ha messo i suoi occhiali, ed inizia un isterico girovagare tra queste, alla ricerca del prodigio che gli riconsegnerà quella porzione di vista che ora avverte assente.
Mi ricordo mia nonna. Mia nonna cominciava a girare per la casa chiedendosi dove fossero i suoi occhiali. Girava tutta la casa, e spesso succedeva che quando te la trovavi davanti, alla sua domanda posta “hai per caso visto i miei occhiali?” tu con con quel lieve imbarazzo pieno d’affetto le rispondevi che erano dentro la bustina porta occhiali -che le era stata regalata a Natale- appesa al suo collo. Allora viene da pensare che forse quella degli occhiali era solo una scusa, una scusa per non accettare che quello che cercava era sotto il suo naso. Solo è difficile da ammettere che la soluzione alle volte sia così semplice. Altre, più semplicemente, si riduce solo al fatto che tendiamo ostinatamente a guardare così avanti, da non renderci consci che ciò che conta è già in nostro possesso. Ci sono volte poi che uno si dimentica addirittura quel che stava cercando. Un bel giorno comincia a muoversi per le stanze con una missione di recupero ben precisa e finisce che dopo un po’ è ancora girovago in cerca, ma senza sapere di cosa. Perché fondamentale è l’atto, quello che conta, che ci fa sentire vivi e ci da la sensazione di non restare inermi davanti all’inevitabile compimento. In un certo modo potremmo sovrapporlo a quanto scriveva Kerouac: Dobbiamo andare! Dove? Non lo so, ma dobbiamo andare.
E quel cercare, non si sa cosa, e quell’andare, non si sa dove, finiscono per diventare più importanti del risultato finale perché ci costringono al movimento contrapponendoci in maniera palese all’altrimenti inevitabile stallo, alla accettazione. Quindi, se torno a quella pila di libri sul tavolinetto a fianco del letto penso che anche io sto cercando qualcosa, solo comincio a dimenticare cosa, o voglio dimenticare cosa, per non rendermi conto che è già sotto il mio naso, ma a questo punto si stabilisce un confine piuttosto labile tra la non arresa e la fuga, nobile la prima un po’ meno la seconda, e finisce che anche tutto il discorso di qui sopra diventi altamente soggettivo, come tutto in queste cose della vita. Ma per ora, l’unica cosa che mi viene di fare è lasciare quella pila di libri aperti sul quel tavolinetto, in modo che le correnti si incanalino da uno all’altro favorendo un ricambio d’ossigeno e mitigando alla buona l’avanzo di calura estiva che di certo non aiuta qualsivoglia azione.