Il romanzo scorre in un finire dell’estate, prima del ritorno a scuola, tra corse in bici, tuffi nel lago, qualche sigaretta, citazioni di Star Trek e patti segreti.
“La casa tonda” è un romanzo di formazione speciale, perché la prova che Joe, il narratore protagonista, dovrà superare, quella che segna il passaggio all’età adulta, è quanto di più difficile e doloroso si possa immaginare.
Joe si deve confrontare con la peggiore violenza perpetrata su una donna e la donna è sua madre, deve misurarsi con l’idea stessa di giustizia, senza potersi capacitare di quanto la giustizia possa essere ingiusta e si trova infine davanti alla realtà della Morte che mette veramente termine a tutto, alle esistenze indegne, ma anche a quelle luminose.
La madre di Joe è vittima di uno stupro in un luogo sacro. Nella sua riserva in North Dakota, la casa tonda era il luogo in cui gli ojibwe praticavano la loro religione tradizionale in segreto, nascondendo le piume di aquila e i rotoli di corteccia di betulla ai preti cattolici che li avevano convertiti. Ma la capanna di legno esagonale sorge su un terreno che appartiene sia alla tribù sia allo stato. Senza sapere esattamente dove la violenza ha avuto luogo, è impossibile determinare chi dovrebbe processare lo stupratore.
Erdrich non ci lascia la possibilità di dimenticare lo sfruttamento e la povertà di una comunità a cui, molto tempo fa, è stato tolto tanto, in particolare la completa sovranità.
Ci si può fare giustizia da soli per fermare il Male, laddove non arriva il braccio della Giustizia dello Stato?
“La casa tonda non racconta una storia insolita e d’altri tempi. Come leggiamo nella postfazione, una donna indiana su tre viene violentata. Quasi sempre, nell’86% dei casi, lo stupratore non è un indiano; quasi mai il colpevole viene processato (fonte Amnesty Internationa)”