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“La casa viola” – Marco Scalabrino

Creato il 17 maggio 2011 da Temperamente

“La casa viola” – Marco ScalabrinoUn giorno mi hanno chiesto: “che cosa è la poesia? Come si scrive?”

E ho trovato difficoltà a rispondere al secondo interrogativo. Premettendo che, per me, la poesia è voce, anima, come dire a qualcuno che tecniche usare per scriverne una? Né, tantomeno, voglio giudicare e commentare una poesia. La poesia va letta, percepita, respirata, non necessariamente compresa, spiegata, analizzata.

Detto ciò, non troverete qui un vero excursus analitico.

Non è semplice muoversi dinanzi a poesie in dialetto. È come accostarsi a opere straniere in lingua madre, perché il dialetto è, a tutti gli effetti, una lingua a sé stante, con sue regole, figure e architetture. Perciò, quando ho cominciato a sfogliare La casa viola, mi sono sentita persa. Temevo di non riuscire a coglierne la profondità.

Ma mi ha sorpreso, ancor di più, trovare traduzioni non solo in italiano, ma anche in altre lingue (con competenze di più traduttori), indice di una visione più che nazionale dell’autore.

Marco Scalabrino è alla quarta raccolta di poesie. Il titolo della silloge riprende quello del componimento d’apertura.

Fatto un bel respiro, mi sono avventurata nella lettura in lingua siciliana (tenendo presente la traduzione in italiano e non solo, per il gusto di comparare i risultati) e mi sono lasciata coinvolgere da quei suoni aspri, serrati, che mi hanno condotto in una terra che non conosco in maniera diretta, ma che ho immaginato come una realtà, per certi versi, immobilizzata, ferma. Una terra solitaria, vissuta e raccontata dalla voce esperta di un anziano o di un muratore che ogni giorno deve fare i conti con la minaccia dell’impalcatura (come in Faddacchi) o di un malato a cui il poeta presta le parole. Una terra che ha dei segreti, come lascia intendere il “patto di silenzio” di Coti a volo! .

I componimenti sono sintetici, immediati (poche le eccezioni come C’è…), senza troppi orpelli, asciutti. A volte un verso coincide con una parola, alla maniera ermetica di Ungaretti, o, addirittura, con una singola sillaba.

Quella di Scalabrino, è una poesia dura, levigata con sapienza, che risente fortemente della realtà circostante, della vita sudata, della vita che evolve e prende in prestito il linguaggio informatico e i gesti della tecnologia, che, nella loro sterile meccanicità, sono espressione di vuoto, perdita di scambio autentico (come in Ctrl+alt+canc). Una poesia che non si veste di parole astratte e sospese, ma esibisce termini concreti per destare non emozioni passeggere, ma pensieri e calde riflessioni.

Susanna Maria de Candia

Marco Scalabrino, La casa viola, Edizioni del Cantino, 2010, pp. 103, 7 euro


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