[ La storia antica settima parte ]
Pensò.......intensamente a lui, a quel misterioso figlio
di Donna Leo, tanto sconosciuto quanto familiare, tanto oscuro quanto
chiaro ai suoi occhi, il cui sguardo l’aveva trafitta come una lama
incandescente uscita dalle mani sapienti di un fabbro, la cui
presenza, le cui movenze eleganti e feline l’attiravano come una
calamita, tanto da avere la sensazione di sentirlo scorrere nelle sue
vene, di sentirlo presente anche quando non c’era……
Galoppava, il vento giocava impertinente con i suoi capelli,
respirava all’unisono con il regolare e pesante respiro del suo
focoso destriero, ascoltava gli zoccoli che battevano regolari sul
terreno come il pulsare del suo cuore tumultuoso. Fu in quel momento
che le tornò in mente la storia che il padre le raccontava quando
era piccola: la storia del suo nome.
Sua madre aveva avuto un parto molto difficile, un parto asciutto,
e appena nata, Lei non respirava.
Il padre aveva cominciato a massaggiare il suo corpicino che
sembrava tanto debole, e le aveva accarezzato la testolina tonda,
dove già si intravedeva la soffice peluria rossa. Fu un momento
interminabile, poi pianse e i suoi polmoni si aprirono, e pianse
urlando tutta la sua voglia di vivere, e in quel momento il padre
ebbe la certezza che sarebbe diventata forte e fiera.
Per questo, pur contro il parere della madre, la chiamò Lal Mailà
(La fiera rossa), che nulla aveva a che fare con i freddi nomi
anglosassoni che tanto piacevano alla madre, e che altro non facevano
che incarnare il freddo clima britannico.
In quel momento cambiò andatura, e si mise al passo, con i
capelli spettinati sulle spalle e le guance lievemente arrossate
sull’incarnato bianco, non aveva mai montato all’amazzone, lo
trovava sciocco, avvolgeva il suo destriero con entrambe le gambe,
come qualsiasi uomo faceva montando a cavallo, perché la natura del
suo cavallo le arrivava fino al cuore proprio passando dalle gambe
che con forza e sicurezza abbracciavano il suo costato.
Aveva deciso, avrebbe aiutato Donna Leo occupandosi di suo figlio,
pur avendo la certezza che avrebbe dovuto combattere, combattere con
un’ombra che accompagnava quel ragazzo così schivo, che ogni volta
che le passava vicino e di cui spesso incrociava lo sguardo profondo
come il buio della notte, avvertiva una scarica di energia che le
trapassava la carne, tanto da farla vacillare.
Era tornata alle scuderie, smontò di sella con il consueto
volteggio, e si accinse a prendersi cura del suo rosso destriero, che
da lei accettava tutto, la respirava. Lal Mailà gli parlò,
massaggiandogli il collo, lo interrogò, e aspettò. E lui come
sempre, le rispose, si impennò potentemente sui posteriori,
scuotendo la criniera.
Lal si recò da Donna Leo, che con gli occhi
pieni di pena e ansia l’attendeva in compagnia del Baba. Bastò che
Lal guardasse Donna Leo e il Baba, ed essi capirono che la risposta
era un sì. Donna Leo l’abbracciò, bagnandole il collo di lacrime
calde e Lal sentì in quelle lacrime tutto il dolore di Lui.
Il sonno fu per Lui, come una morte apparente, come droghe che sopirono in maniera artefatta il dolore lancinante di ciò che gli si riversò addosso come fiumana di fango e detriti di ogni genere.
Iniziò poi il travagliato transito dal mondo onirico a quello della veglia...fino a fare ritorno alla nera ed amara realtà! Sentì tutto l'amaro salire su dalle viscere, come lava di un vulcano che incenerisce ogni cosa e si pone dinanzi al suo avanzare...le tempie pulsarono come mantici nelle mani sapienti di un fabbro che si appresta a forgiare una spada, tra le più tagtlienti e terrificanti che guerriero abbia mai impugnato, fino a che i suoi occhi si aprirono come cortine di un antro in cui oscure segrete celavano...