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La Certosa di San Martino, da luogo di preghiera a museo

Creato il 08 febbraio 2015 da Vesuviolive
Certosa di San Martino

Certosa di San Martino

Accanto al castel Sant’Elmo, sulla sommità del colle che domina l’intero golfo di Napoli, è situata la Certosa di San Martino. Voluta, nel 1325, da Carlo d’Angiò, duca di Calabria, fu realizzata dall’architetto e scultore senese Tino di Camaino, già famoso per il Duomo di Pisa. Il toscano non completò il proprio lavoro perché, alla sua morte, gli successe Attanasio Primario. Oggi, però, dell’opera dei due architetti resta ben poco. Sono riconoscibili solo alcune aperture con archetti in stile catalano, situati nell’ex refettorio, e i sotterranei gotici. I certosini presero possesso del monastero già dal 1337, anche se la Certosa fu inaugurata nel 1368, sotto il regno di Giovanna I.

A Senator of the Republic of Genoa | Carved Marble | Genoa, Italy 1560

Busto di Giovanni Antonio Dosio di Battista Cicala Zoaglio

Tra il Cinquecento e il Seicento, all’architetto Giovanni Antonio Dosio, fu affidato il progetto di ampliamento della struttura. Fu lo stesso Dosio a trasformare le basi gotiche della Certosa nel monastero barocco che tutti conosciamo. Il crescente numero dei monaci portò alla realizzazione di nuove celle e impose una radicale ristrutturazione dell’intero sistema idrico e del Chiostro Grande. Tutte queste innovazioni furono promosse dal priore Severo Turbol, in carica dalla fine del Cinquecento fino al 1607. I lavori furono iniziati da Dosio, ma terminati da Giovan Giacomo di Conforto, che realizzò anche la monumentale cisterna del Chiostro. L’architetto fu poi sostituito, nel 1623, da Cosimo Fanzago. Quest’ultimo si occupò principalmente di abbellire gli esterni e gli interni della Certosa. Fece importare marmi antichi da Roma, bianchi da Carrara, neri dal Belgio, breccia dalla Francia, bardigli e broccatelli dalla Spagna. Fanzago trasformò le decorazioni geometriche in elementi naturali quali fogliami e frutta, conferendo un carattere di realismo e dinamicità a tutto il complesso. Inoltre, l’architetto bergamasco utilizzò l’apparato marmoreo anche per rivestire esternamente, e così preservare, le strutture trecentesche della Certosa.

Nella prima metà del XVIII secolo i lavori passarono prima ad Andrea Canale e poi al figlio Nicola, detto architetto-scenografo per la cura che dava alle decorazioni. Durante la rivoluzione francese il complesso subì numerosi danni e nel 1799 i certosini furono cacciati per l’accusa di giacobinismo.

Giuseppe Fiorelli

Giuseppe Fiorelli

Per alcuni anni i monaci furono riammessi e poi nuovamente riesplulsi dalla struttura, per poi non tornarci mai più a partire dal 1866, quando la Certosa divenne proprietà dello Stato per volontà dell’archeologo e numismatico Giuseppe Fiorelli. Con la denominazione di museo storico, il complesso iniziò una nuova era. Fiorelli sognava di illustrare all’interno della struttura la storia, le arti e le industrie dell’antico Regno di Napoli. A testimonianza del suo impegno è visibile ancora oggi il carteggio che l’archeologo intrattenne con il Ministero per l’Istruzione Pubblica in cui si leggono le esortazioni di Fiorelli affinché la Certosa divenisse Museo Nazionale e fosse salvata dal degrado. I desideri dell’archeologo sono stati esauditi in parte poiché attualmente il complesso ospita diverse opere che vanno dalla Napoli Borbonica fino al periodo postunitario.

San Martino

La Certosa non offre solo tele e busti, ma anche strutture architettoniche rilevanti, quali il Chiostro piccolo, detto dei Procuratori, attraverso il quale si giunge ai giardini e alle stanze dell’odierno Museo Nazionale, e il Chiostro Grande, un esempio dell’arte napoletana seicentesca con colonne doriche-toscane, il cimiterino dei monaci certosini e il finto pozzo. Di sicuro non si possono dimenticare i giardini che, scendendo da San Martino lungo la collina del Vomero, offrono ancora oggi uno dei più bei panorami sul golfo di Napoli.


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