Gli uomini e le donne che formano l’ossatura della Cgil provengono dal Pd e un po’ anche da Sel. Si tratta di identità di vedute, di modi di pensare, sensibilità, anche provenienze o contiguità spontanee fra Cgil e Pd (e Sel). Un tempo, ancora nei Ds, i dirigenti della Cgil erano componenti di diritto della direzione provinciale del partito e il sindacato si diceva “interessato” alla politica. Se negli anni si costruisce un rapporto così stretto, è difficile scioglierlo. L’immobilismo però non è particolarmente utile e non invitare Rivoluzione Civile e il suo candidato premier a un’assemblea di grande importanza non è segno di stile bensì di forza, oltretutto contro chi senza ostilità verso la Cgil segue gli stessi obiettivi, volendo darvi maggior sostegno. Incombono le elezioni. Dà fastidio la competizione tra Sel e Rifondazione civile. Purtroppo le considerazioni da fare non sono poche, ma serve coerenza più che sudditanza psicologica verso i mercati e Mario Monti. Il sindacato è legato per propria natura ai partiti, è fatto di persone appartenenti o in sintonia con i partiti, tuttavia per fare il sindacato serve tener fuori proprio Rivoluzione civile?
L’articolo seguente, di Alfonso Gianni, è tratto da Controlacrisi e ha titolo: “Esiste ancora l’autonomia dei sindacati dai partiti?”
A Roma la Cgil sta tenendo un’importante assise programmatica dedicata alla elaborazione di un “Piano del Lavoro”. Il nome è antico, richiama gli anni del dopoguerra, quando la Cgil di Di Vittorio avanzò nell’ottobre del ’49 un piano per mobilitare le forze del lavoro al fine di partecipare alla ricostruzione del nostro paese e di imporre una politica di piena occupazione.
Il riferimento non è casuale. E’ ormai persino inutile citare le cifre che ci vengono fornite da diversi istituti statistici pubblici e privati, internazionali e interni. Tutti infatti concordano nel dire che la ripresa non si vede perché non c’è. Guai a scambiare una certa effervescenza finanziaria, o il calo dello spread, dovuto essenzialmente a una pur tardiva iniziativa della Bce di ritirare i titoli di stato in difficoltà sul mercato finanziario, con l’effettiva inversione di tendenza della crisi dell’economia reale.
Oltre tutto nel nostro paese il declino industriale e conseguentemente dell’occupazione è ben anteriore alla grande crisi economica internazionale che stiamo vivendo. O si riparte dalla rimozione delle cause che bloccano uno sviluppo che per essere tale deve cambiare modello, poiché non può basarsi su settori più stracotti che maturi, oppure lavoro non se ne crea. Chi pensava di farlo abolendo l’articolo 18 è stato smentito dai fatti, se mai ce ne fosse stato bisogno.
L’appuntamento del maggiore sindacato italiano è quindi importante per tutti e sono in molti a guardarvi con attenzione e speranza. Proprio per questo risultano stonate alcune scelte effettuate dal gruppo dirigente della Cgil negli inviti alle forze politiche e le polemiche che queste hanno suscitato. Per lo più, basta scorrere i maggiori quotidiani, queste ultime sono tutte indirizzate a sottolineare il “pericolo” di uno schiacciamento della coalizione dei progressisti sulla sinistra e sulla Cgil in particolare. Ovviamente tale preoccupazione cresce in maniera direttamente proporzionale quanto più ci avviciniamo a organi di stampa più sensibili al messaggio politico-elettorale di Mario Monti.
Eppure tante e tali paure appaiono infondate. Se guardiamo il programma della coalizione dei progressisti, la famosa carta di intenti, e le liste costruite da Bersani, il rischio di uno scivolamento a sinistra è più che scongiurato. Vi troviamo infatti i segretari della Cisl, l’ex direttore generale di Confindustria e per quanto Ichino se ne sia andato è stato immediatamente rimpiazzato da Carlo dell’Aringa, giuslavorista graditissimo tanto a Cisl che a Confindustria.
Una stonatura nella stonatura. In realtà, se una critica va mossa, è sul lato opposto. Quello della Cgil. L’invito limitato alla coalizione dei progressisti non esaurisce l’offerta di sinistra presente nelle prossime elezioni. Mentre è comprensibile il disco rosso a Grillo che i sindacati vorrebbe mandarli al rogo, risulta incomprensibile l’ostracismo verso Rivoluzione Civile, che almeno nel suo programma ha punti di grande impatto con il tema della crescita e del lavoro, come ad esempio la ridiscussione del fiscal compact e la reintegrazione dell’articolo 18.
Purtroppo la scelta di Susanna Camusso e della dirigenza della Cgil sembra prefigurare uno schema per il dopoelezioni basato sul “governo amico”. Così effettivamente fosse, verrebbe meno uno dei pilastri del sindacalismo italiano, almeno a partire dalle grandi trasformazioni intervenute dall’autunno caldo, cioè dalla fine degli anni Sessanta in poi, ovvero il rispetto dell’autonomia del sindacato dai partiti, compreso quelli che si richiamavano al movimento operaio.
L’uso dell’imperfetto non è casuale, infatti il segretario della Fiom, Maurizio Landini, insiste giustamente nel dire che in Italia un partito del lavoro oggi non esiste. Tanto più, dunque, appare desolante e impedente la mancanza di autonomia. Ma si delineerebbe un futuro prossimo deprivato delle leve del conflitto sociale e sindacale che, come dimostra la nostra storia, a saperla ben leggere, è stato fattore di civiltà e di progresso economico.