"La vocazione di San Matteo" - Caravaggio
Tutti abbiamo avuto la sensazione di essere chiamati ad un certo punto della nostra vita, o in maniera improvvisa, oppure sentirci spinti lentamente verso un approdo mentre si pensa ad altro.Analizzando la vita, di preferenza si indagano i traumi passati (specie quelli infantili) senza considerare importanti tali sensazioni. In altre parole, si fa un “film” della vita passata con i ricordi traumatici, e ci si fa un’idea di un carattere con dei tratti indelebili.
Può essere invece che la nostra vita non dipenda dall’infanzia (e dal passato in generale) ma dal modo in cui la immaginiamo. I guasti odierni non dipendono quindi dal passato ma dal modo traumatico con cui ricordo l’infanzia. Altrimenti, equivarrebbe a credere che ciò che siamo oggi sia il risultato di cause esterne che ci hanno plasmato.
Il senso della vocazione (alias: la chiamata del destino) ci fornisce una ragione per cui siamo vivi : è la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte ad un’immagine (che verrà chiamata daimon o genio o ghianda o angelo custode) innata alla quale mi devo dedicare oltre al quotidiano. Il mondo vuole che io esista, e sono al mondo perché sono stato chiamato!
Nel mondo moderno esiste un appiattimento della propria identità.
Siamo descritti in termini sociologici, statistici, crediamo nella crescita come sviluppo: ho fatto prima questo, poi questo poi quell’altro (il curriculum). Il nostro itinerario sembra già scritto e previsto : posso allora sapere dove sono stato prima di arrivarci! E di contro, tutte le chiamate del destino (daimon) se va bene vengono viste come eccentricità.
Il daimon invece ci chiede di immaginare la vita diversamente, con romanticismo, alla luce di grandi idee, di bellezza, mistero, mito.