Fra i tanti effetti collaterali di veline, pacchi e voyeurismo, ce n’è uno che rende particolarmente nefaste le varie perversioni mediatiche che dominano la scena televisiva “italofona”: il fatto che esse contribuiscano a mettere in ombra, nella percezione collettiva, quanto di buono, nonostante tutto, la tv riesce ancora a fare in ambiti che generalmente restano lontani dalle luci della ribalta.
Anche per questo è bello che ogni tanto le scelte produttive di molti programmi RSI (decisamente controcorrente, da questo punto di vista – e per fortuna) abbiano un’eco che va oltre i nostri confini. La notizia è questa: “La chiave di Toni”, un servizio realizzato per “Falò” da Roberto von Flüe e Enrico Pasotti, è fra i finalisti del premio “L’anello debole”, che seleziona “i migliori esempi di trasmissioni radiofoniche, televisive, e opere cinematografiche brevi dedicate a fatti e vicende della popolazione ritenuta «fragile», perché «periferica» o «marginalizzata»”.
Il premio, bandito dalla Comunità di Capodarco, nelle Marche, sarà attribuito nei prossimi giorni. Ma il palmares, tutto sommato, non è così importante. Ciò che conta è che rassegne come “L’anello debole” dimostrino, sia pure per un istante, che esiste un linguaggio diverso dal pietismo e dal voyeurismo per raccontare l’emarginazione, e soprattutto la lotta contro l’emarginazione. È ciò che Pasotti e von Flüe hanno provato a fare raccontando la vicenda di Toni, 58enne della Valle Maggia affetto dalla sindrome di Down, insofferente agli spazi del laboratorio protetto. Lo hanno seguito nella sua vita quotidiana: per verificare se e come sia possibile, per una persona considerata problematica, guadagnarsi un posto nel “grande mondo” dei cosiddetti “normali”, apparentemente poco disposto a concedere spazio ai diversamente abili.
“L’anello debole” è seguito anche dal Corriere della sera