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La chimica che non ho capito

Da Maestrarosalba
La chimica che non ho capito Leggevo questi giorni alcuni commenti sulla scuola. Commenti generici che (forse) involontariamente descrivono una realtà monocolore, ma divenuti ormai talmente diffusi,   da poterne evitare anche i link di riferimento.  Trattandosi di argomentazioni che riguardano le persone e il loro agire, è facile ribattere che nessun giudizio per quanto circostanziato descrive esaustivamente le realtà. Per fortuna. 
Affermare che la didattica non è cambiata, che s’insegna allo stesso modo a bambini e studenti che non somigliano nemmeno un po' a quelli di vent'anni fa, equivale a fare l'operazione sopra descritta. Argomentare senza indicare fatti ed esperienze non ha alcun significato e nulla porta al bilancio di ciò che abbiamo in cassa. Di ciò che è spendibile in termini di esperienza. 
Tanto per raccontare cosa è accaduto in questi anni passati, mi piace ricordare l'esperienza  dei presìdi ISS: insegnare scienze sperimentali. S'intuisce subito che si parla di insegnamento delle scienze (soprattutto) attraverso la pratica sperimentale. Io al progetto ho aderito prima da insegnante, mi sono formata insieme a tantissimi colleghi e alcuni sono anche diventatati tutor, come me.
La richiesta di formazione era ed è trasversale agli ordini di scuola, addirittura tale oggi da non poter essere soddisfatta in base alla capacità di erogazione di formazione da parte dei presìdi (per via dei fondi ormai agli sgoccioli). Certamente i tagli degli ultimi due anni hanno dato il colpo di grazia, ma non è questo del quale si vuole dire. 
L'esperienza dei presìdi ha richiamato spesso alla mia memoria, con uno sconfortate paragone, il metodo d’insegnamento da me conosciuto, in particolare della chimica, all’istituto magistrale. 
Tutto si svolgeva secondo questa, che ora non esito a definire, triste sequenza:  Apertura del libro a pagina…  Spiegazione dell'insegnante.  Pagine da studiare a casa.  Interrogazione di formule e processi.  Risultato di sere di studio: una striminzita sufficienza, qualche formula imparata a memoria, miseri riferimenti ai processi, un discreto odio per la materia e nulla che avesse a che fare con la chimica quotidiana (eh sarebbe stato bello).  E non mi si dica che non c’erano i laboratori. Perché anche dove c’erano in pochi ci portavano gli studenti.  Questo per dire che la chimica l'ho apprezzata da insegnante quando ho capito che solo a sapere mettere le mani in cucina ce n'è una caterva, non parliamo poi di quella che si può comprendere in un laboratorio vero. E questo processo ovviamente ha prodotto l'utilizzo di un metodo didattico di cui lo sperimentare è l'attore principale insieme allo studente che esegue, sbaglia e riprova fino al risultato. Patrimonio che si è ulteriormente diffuso nei libri, tutti i libri affiancano alla parte teorica la parte sperimentale.
Queste sono storie comuni, storie di materie, come la chimica insegnata in astratto e di insegnanti che con l'esperienza sono usciti dalla frustrazione della didattica fatta di esclusivo sapere esperto, che sicuramente è buono per alcuni contenuti ma non per tutti. In ogni caso raramente con i bambini della primaria. 
E per tornare alle affermazioni inziali, non tutta la scuola è metodologicamente vecchia e omologata. E a costo di annoiare voglio ribadire che nel bilancio delle cose di oggi, tutto ciò che di buono nella scuola esiste deve stare nella colonna separata delle cose che invece sono assolutamente da cambiare e che spesso poco hanno a che fare con le riforme, come ben sappiamo. © Crescere Creativamente consulta i Credits o contatta l'autrice.

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