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La Cina e l’ombra di Gorbaciov

Creato il 13 marzo 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
640px-RIAN_archive_359290_Mikhail_Gorbachevdi Michele Marsonet. Provo a formulare una domanda che, oggi, può apparire persino fantascientifica. Il quesito è il seguente: “e se Xi Jinping facesse la fine di Gorbaciov?”. Mi si risponderà subito che allo stato dei fatti non esistono segnali in tale direzione. L’attuale RPC e la defunta Unione Sovietica nel suo ultimo stadio, infatti, non sembrano neppur lontanamente paragonabili.

Eppure non è proprio così. In uno dei suoi ultimi discorsi il leader cinese ha pronunciato delle affermazioni un po’ inquietanti e subito riprese dai media occidentali. In sostanza ha detto che la lotta contro la corruzione e per la riforma dello Stato andrà avanti senza tener conto di alcun ostacolo.

Non solo. Riferendosi a se stesso, ha aggiunto di non aver paura della morte e – il che è in fondo una ripetizione – di non considerare la permanenza in vita della sua persona un fatto importante per il Paese.

Si tratta, come appunto dicevo prima, di frasi che destano non soltanto sorpresa, ma anche una certa inquietudine. Testimoniano inoltre che la situazione nel grande colosso asiatico non è affatto tranquilla come il regime si sforza di far credere a tutti, amici e avversari.

E’ sufficiente andare con una certa frequenza nella RPC per percepire subito una distanza notevole tra il partito comunista da un lato e gran parte della popolazione dall’altro. E’ vero che il PCC conta milioni di iscritti piazzati ovunque, e che essi garantiscono un controllo pervasivo e capillare della vita politica e sociale.

Ma per quanto numerosi gli iscritti siano, costituiscono pur sempre una piccola frazione del miliardo e oltre 300 milioni di cittadini cinesi. Una goccia nel mare, anche se tale goccia detiene tutto il potere senza residui di sorta. Il problema è capire quanto sia davvero capillare il succitato controllo.

Indubbiamente lo è. Tuttavia i cinesi (a differenza, per esempio, dei giapponesi) non sono mai stati molto disciplinati: è un tratto costante della storia plurimillenaria che possono vantare. E sono pure dei maestri nell’arte di arrangiarsi o, se vogliamo usare un’espressione più nobile, l’ingegnosità fa parte della loro natura.

Si potrebbe credere, per esempio, che la proibizione assoluta di Facebook e degli altri social network occidentali li tagli fuori da questi canali di comunicazione. Non è vero. Molti hanno scoperto come aggirare l’ostacolo dal punto di vista tecnico, per cui possiedono un normale profilo FB o Google che usano facendo, ovviamente, più attenzione di noi. E’ evidente che con una massa tale di individui l’equivalente della nostra polizia postale non riesce a controllare tutto.

E pure nelle università la distanza tra partito (spesso definito “mafia” dai non iscritti) e popolazione si può percepire stando attenti. Il marxismo-leninismo nella sua versione maoista è tuttora la dottrina di Stato ufficiale. Tuttavia gli studiosi che la coltivano in quelli che corrispondono ai nostri dipartimenti di filosofia e di scienze politiche sono piuttosto isolati dal resto del corpo accademico. Tanto che, quando si chiede di incontrarli, capita di essere guardati in modo strano.

Aggiungo un altro elemento importante. La lotta alla corruzione è il principale cavallo di battaglia di Xi Jinping e del suo gruppo. Però succede che, nel bel mezzo di tale lotta, vengano arrestati proprio attivisti e avvocati che chiedono trasparenza e la pubblicazione dello stato patrimoniale degli alti funzionari del PCC.

Qualcuno ha definito tutto ciò come “strabismo”, ma non lo è poi tanto. Il partito ha già dichiarato più volte di voler conservare tutto il potere. Memore di quanto accadde nell’ex Urss, Xi Jinping si comporta esattamente come i suoi predecessori a partire da Deng Xiaoping. Massima libertà – per alcuni – di accumulare patrimoni enormi. Negozi di gran lusso e le principali griffe occidentali (italiane incluse) nei centri delle metropoli. Ferrari e Lamborghini che circolano in numero sorprendente, e via di questo passo.

Tutto, però, sotto lo stretto controllo di un partito che si autodefinisce ancora comunista senza che se ne comprenda bene la ragione. Ecco quindi l’espansionismo in politica estera per tenere tranquilli i generali, anche se parecchi sono stati imprigionati per corruzione. La RPC fa la voce grossa con i Paesi vicini per rinfocolare un nazionalismo che, per la verità, non sembra molto diffuso.

Certo Xi appare più scaltro di Gorbaciov, e assai attento a non seguirne i passi. Il problema è capire fino a quando potrà durare una situazione così strana, con l’immensa nazione marxista-leninista-maoista nella teoria e capitalista nella pratica. Giacché appare sempre più evidente che al partito interessa soprattutto conservare il monopolio assoluto del potere.

L’equilibrio regge, probabilmente, grazie al successo economico, pur se si intravedono segni di rallentamento. Qualora dovesse verificarsi una crisi nel settore economico-finanziario, è ragionevole prevedere che il PCC avrà difficoltà enormi a mantenere il quadro attuale.

Featured image, Michail Gorbačëv. source Wikipedia.


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