La recente simultanea visita da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmūd Abbās in Cina, si è tradotta nel tentativo da parte di quest’ultima, di giocare il ruolo di mediatrice nella questione israelo-palestinese. Il governo cinese, infatti, ha proposto di organizzare a Pechino un incontro tra i due leader, con lo scopo di compiere dei passi avanti verso un’auspicata riconciliazione. La visita di Netanyahu è durata dal 5 al 10 maggio, il premier israeliano si è dapprima recato a Shangai, per poi concludere la sua cinque giorni cinese a Pechino. Era dal 2007, anno dell’incontro tra Ehud Olmert e Hu Jintao, che un leader israeliano non si recava in Cina. Netanyahu ha incontrato il premier cinese Li Keqiang e ufficialmente, il focus dell’incontro è stato di natura economica. I due paesi hanno siglato accordi commerciali per un valore di 400 milioni di dollari, rafforzando ulteriormente un interscambio bilaterale che per il 2012 ha sfiorato la cifra di 10 miliardi di dollari (la Cina è attualmente al terzo posto tra i partner commerciali di Israele, subito dopo Stati Uniti e Unione Europea).
Una delle questioni in agenda, secondo quanto riferisce il “Jerusalem Post”, è stata poi il progetto della costruzione di una ferrovia dal porto di Ashdod a Eilat, per la cui realizzazione le due parti avevano già firmato un accordo di cooperazione nel luglio 2012. Il progetto, collegando Mediterraneo e Mar Rosso, consentirebbe alle merci cinesi di raggiungere l’Europa senza passare per il Canale di Suez, reso ultimamente meno sicuro per via dell’instabilità in Egitto1. Con buona probabilità, al centro del dibattito ci sarà stato anche l’Iran, con le inquietudini israeliane relative al programma nucleare portato avanti dal governo iraniano e l’opposizione cinese alle sanzioni contro Tehran. Pechino infatti, rappresenta tutt’oggi il maggior acquirente del petrolio prodotto in Iran, raggiungendo, per il mese di dicembre 2012, la cifra record di 590 mila barili di greggio al giorno acquistati, con un 39% in più rispetto al mese precedente e un incremento del 3,6% relativamente invece al dicembre 20112.
Contestualmente, come sottolineato, la Cina ha ospitato il presidente palestinese Abbās, la cui visita è durata dal 5 all’8 maggio. Abbās ha incontrato Xi Jinping e i due avrebbero firmato accordi di cooperazione economica e scambio culturale. Il leader dell’ANP ha poi affermato l’importanza di una soluzione politica come “unica e migliore via d’uscita” alla crisi e ha dichiarato che Cina e Palestina “condividono lo stesso punto di vista su molti temi”. Pechino ha riconosciuto lo Stato palestinese nel 1988, quattro anni prima di stabilire relazioni diplomatiche con Israele. In occasione dell’incontro, inoltre, il presidente cinese Xi Jinping ha formulato una proposta in quattro punti, volta a promuovere la risoluzione della questione palestinese e favorire il ritorno della stabilità in Vicino Oriente.
Al primo punto, il presidente cinese ha sottolineato la necessità di persistere nella giusta direzione della fondazione dello Stato indipendente di Palestina e della coesistenza pacifica tra Palestina e Israele. Per far questo è necessario a suo avviso, un ritorno ai confini del 1967, con uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme Est. Allo stesso tempo deve anche essere “pienamente rispettato” il diritto di Israele di esistere e di provvedere alla propria sicurezza. Al secondo punto, viene evidenziata l’importanza dei negoziati come unico canale per un esito positivo del processo di pace. Per questo motivo, secondo Pechino, la “priorità immediata” è quella di “fare passi in avanti per fermare gli insediamenti”. Al terzo punto, viene richiamata l’importanza di affermare il principio della “Land for peace” (scambi territoriali pacifici), oltreché la necessità di ripartire nel dialogo dalle risoluzioni dell’ONU.
Il quarto punto infine, riguarda l’impegno della comunità internazionale, la quale deve fornire “un’importante garanzia per il progresso del processo di pace”, attraverso un “maggiore senso di urgenza e responsabilità”3.
Al di là del fatto che Netanyahu e Abbās non si sono mai trovati contemporaneamente nella stessa città, vista l’impasse che si è creata nel processo di pace, appare improbabile che i due leader cogliessero la proposta cinese di un incontro. Il tentativo di Pechino di proporsi come mediatrice, testimonia però la volontà di ricoprire un ruolo in controtendenza al tradizionale basso profilo adottato dai cinesi nell’area. In questa direzione, è andato anche il viaggio dell’inviato speciale cinese in Vicino Oriente Wu Sike, il quale si è recato in Palestina e Israele dal 26 al 29 aprile, una settimana prima della visita di Netanyahu e Abbās in Cina. Wu Sike, dopo aver sottolineato come la Cina può vantare ottimi rapporti con entrambi i paesi, ha dichiarato che la questione palestinese coinvolge l’intero quadro del Vicino Oriente, e che una soluzione pacifica della controversia avrebbe effetti positivi sull’intera area. Ha aggiunto poi che Pechino, nell’ottica anche dell’imminente viaggio dei due leader in Cina, spingerà affinché entrambi adoperino le azioni necessarie a costruire un ambiente positivo per il riavvio dei negoziati. Come sottolineato da diversi analisti, il maggior interesse cinese in Vicino Oriente è simmetrico al minore da parte degli Stati Uniti, il cui focus si è recentemente spostato nell’area Asia-Pacifico.
La dottrina Carter formulata nel 1980, manifestava la volontà da parte degli Stati Uniti, di adoperare anche la forza per proteggere i propri interessi nell’area del Golfo Persico. Si trattava di interessi in larga parte legati alla presenza e alla circolazione del petrolio. Oggi, i grandi progressi compiuti nel campo dello sfruttamento del gas di scisto, insieme alla possibilità di importare idrocarburi dai paesi limitrofi come Canada e Messico, stanno fortemente riducendo la dipendenza energetica dei nordamericani nei confronti del Vicino Oriente. In quest’ottica, le problematiche inerenti l’area, a cominciare dalla questione palestinese, tenderanno sempre meno ad essere legate ad un interesse nazionale, tramutandosi invece in questioni strategiche generali, attinenti il ruolo degli Stati Uniti come grande potenza a livello globale. Inoltre sotto l’amministrazione Obama, anche il rapporto speciale tra Washington e Tel Aviv ha subito non poche incrinazioni. Diverso il discorso per quanto riguarda la Cina. Tutt’oggi i cinesi sono già il primo importatore di energia dal Vicino Oriente. Nel 2011, la regione ha fornito il 51% del totale delle importazioni petrolifere cinesi, con Arabia Saudita e Iran che da soli contribuiscono rispettivamente per il 20% e l’11% del totale delle importazioni di greggio da parte di Pechino4.
Verosimilmente, la fame energetica della Cina crescerà ulteriormente nei prossimi anni, di pari passo con l’espansione economica del paese. Da ciò si può intuire come l’intera area del Vicino Oriente, con tutte le sue problematiche, è diventata vitale per gli interessi nazionali cinesi. Ne deriva che la sfida immediata per il soft power cinese, diviene quella di incrementare la propria influenza in tutta la regione.
Una sfida per nulla semplice, considerando che si tratta di un’area dalla storica e insolubile instabilità. Caratterizzata ultimamente dal caos in Siria ed Egitto, dalla questione iraniana e dalla difficile transizione nell’Iraq del dopo Saddam. Da questo punto di vista, la necessità di mantenere buone relazioni con Israele è legata in particolare alla possibilità per Pechino di attingere al know how tecnologico israeliano.
Di non secondaria importanza è poi la recente scoperta di consistenti riserve di petrolio e gas naturale nel Bacino di Levante, al largo delle coste israeliane, in un’area però in parte rivendicata anche dal Libano. L’estensione dei giacimenti (in particolare di uno, denominato Leviatano) prospetta, non solo di rendere Israele energeticamente autosufficiente, ma anche di trasformare il paese in esportatore di tali materie prime. Visto il crescente fabbisogno cinese di cui si è detto, il gas e il petrolio del Levante potrebbero rafforzare ulteriormente il legame tra Pechino e Tel Aviv.
Sebbene con il concomitante viaggio di Netanyahu e Abbās la Cina si sia esposta nell’inedito ruolo di mediatrice, sarebbe prematuro presupporne un massiccio coinvolgimento riguardo alla questione palestinese e in generale in Vicino Oriente. L’influenza cinese nella regione sta certamente crescendo, ma le incognite rappresentate dall’estrema frammentarietà dell’area inducono ad essere cauti. Inoltre la Cina si trova a dover gestire una serie di problemi interni, a cui va aggiunta la competizione per difendere i propri interessi in tutta l’area Asia-Pacifico. Quello che emerge comunque, è che di pari passo con la crescita del proprio potere a livello globale, aumentano anche gli interessi da salvaguardare, sparsi per tutto il pianeta. In futuro dunque, volente o nolente, Pechino si troverà sempre più spesso a doversi confrontare con questioni che, direttamente o indirettamente, vanno a toccare il proprio interesse nazionale.