Titolo: La circonferenza delle arance
Autore: Gabriella Genisi
Editore: Sonzogno
Anno: 2010
Naturale, per me, precipitarmi a leggere anche il primo episodio, magari per verificare “la tenuta” del commissario “femmina” più sexy d’Italia. Sì, perché per Lolì le donne (lei compresa, anzi lei in prima fila) sono innanzitutto “femmine”.
Ma andiamo con ordine.
Il romanzo si apre con una trentina di pagine serrate serrate, che ho gustato per l’ironia e che ho trovato molto divertenti. Il primo caso che Lolita deve affrontare nelle pagine di un romanzo riguarda uno specchiato professionista, un affascinante dentista, che di nome fa Stefano Morelli e che è accusato, alla vigilia di Natale, di uno dei più vili reati: violenza carnale. Se questa è la fattispecie, che ci sarà mai da divertirsi, vi chiederete. Vi rispondo subito: innanzitutto si percepisce subito che l’accusa al bel Morelli è tutta una montatura. Con i toni della commedia, vengono descritte le riflessioni, le gelosie e i focosi moti d’animo del commissario. Infatti Lolita, prendendo atto del reato ipotizzato, si rende conto che l’accusato è addirittura il suo “primo amore” (che, come attesta il luogo comune, “non si scorda mai”), mentre la parte lesa è Angela, “l’assistente alla poltrona”, una vistosa “femmina” pratica dell’arte che ha già reso celebre Monica Lewinsky.
Di un giallo (e attenzione: secondo alcuni un giallo non è tale se non ci scappa almeno un morto!), ovvio, non si anticipano i dettagli, per non rubare ai lettori il piacere della sorpresa. E allora io, in questo mio commento, seguirò una pista ben precisa: quella tracciata dalle arance – i frutti ricorrenti – che con le loro circonferenze traboccano dalle pagine del romanzo e che, in almeno un paio di occasioni, sono la chiave di volta per risolvere il caso poliziesco.
Di questi sugosi agrumi è ghiotta non soltanto Lolì, ma anche la presunta vittima della violenza: Angela Capua segue una vera e propria dieta a base di arance.
Il commissario le tiene, in versione candita, sulla sua scrivania, per sopperire prontamente a cali di zuccheri e di affetto.
Gli stessi frutti – secondo uno stilema che ricorre anche nella lingua parlata (“portar le arance a un detenuto!”) - vengono recapitati da Lolita a Stefano durante una visita in carcere.
Le arance sono ovviamente l’occasione per celebrare le rotondità del commissario barese, nonché lo spunto per rievocare una scena ai tempi dell’amore adolescenziale, quando i due piccioncini avevano mangiato il frutto, metà ciascuno, e si erano abbandonati al loro sentimento.
Su un’arancia si stampa un morso di Angela e il calco vegetale rivela un difetto congenito: particolare rilevante per l’indagine in corso.
Infine, le arance sono l’immancabile ingrediente per una torta che Lolita cucina nelle feste di Natale: sì, perché il commissario ci cattura non soltanto con le sue gesta investigative e erotiche … ci prende anche per la gola!.
In quest’opera ritengo siano da segnalare, nell’ordine:
- a pagina 150, la rivelazione dei canoni dell’immaginario erotico maschile (tanto per parlar chiaro, i canoni sono incarnati dalle attrici Loren, Antonelli e Sandrelli);
- il due di picche che Lolita rifila al commissario Montalbano;
- e, sul finire del romanzo, la versione “coguaro”, alla “Sex and the city”, di una Lolita con tanto di toy boy, secondo il cliché abbondantemente in uso anche presso rockstar come Madonna e dive di Hollywood come Demi Moore.
Ma allora – mi chiedo riponendo soddisfatto il romanzo che si sbizzarrisce sulla geometria sferica delle versatili arance – questa Lolita è proprio perfetta? Poi mi viene in mente che, forse sì, un piccolo difetto glielo possiamo anche trovare. Sto parlando dei suoi gusti musicali. Murolo e Capossela, avranno pure il loro perché nel contesto Mediterraneo della vicenda, però non corrispondono esattamente al gusto di …