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La città degli Gnomi Verdi e della strega Nebbianera

Da Fiaba

Scritto da filippo

citta-nebbianera
Nel bosco fitto di abeti e larici, la strega Nebbianera aveva intrecciato i rami fino a costruire un’immensa ragnatela vegetale che circondava la valle degli Gnomi Verdi.
I cerbiatti imprudenti e gli uccellini, durante i primi voli di esplorazione, spesso cadevano nella rete e perdevano i loro colori e la vita, trasformandosi in statue di carbone.
Gli gnomi sapevano dell’incantesimo e si tenevano a rispettosa distanza dalla foresta, ma la ragnatela vegetale cresceva e l’anello nero guadagnava terreno nella valle verde.
Gli gnomi costruivano inutilmente dighe di pietra per opporsi all’avanzata della foresta nera che, però, erano spazzate via dai rami nodosi che ormai avevano preso consapevolezza della loro forza e volevano stritolare la verde vallata e spegnerne per sempre la luce.
Tutto era cominciato il giorno del primo compleanno del figlio del Re degli gnomi verdi: una festa che doveva arrivare nei più lontani angoli del regno per portare felicità e allegria e si era trasformata in tragedia.
La strega Nebbianera non era stata invitata alla festa perché era conosciuta come apportatrice di lutti e dolori. Il Re aveva proibito a tutti i sudditi, pena la vita, di informare la strega che, del resto, viveva appartata in una grotta sulla montagna più nera e infida del paese e non aveva mai espresso desiderio di contatti con la corte.


La strega aveva però saputo da un albero, impiccione e maligno, che ci sarebbe stata la cerimonia e non si fece mancare l’occasione per mandare il suo infausto regalo. Portato da un avvoltoio nero con il collare grigio, uno scrigno di diamante fu recapitato alla reggia.
Il Re non voleva aprire lo scrigno, temendo qualche terribile incantesimo, ma esso si schiuse da solo trasformandosi in una scatola di carbone e lasciò uscire un vortice di nebbia scura che avvolse il piccolo principe, togliendo ai suoi occhi il sorriso, poi si alzò salendo fino alle alte vetrate del salone delle feste, infranse i vetri e si sparse nella valle raggiungendo le chiome innocenti dei larici e degli abeti che non poterono opporsi alla forza malefica del manto buio.
Il Re, tramortito dal dolore per sé e per il suo popolo,  si era rivolto al buon mago Biancone, ma la strega apparteneva ad una categoria di magia molto superiore e gli sforzi di Biancone fallirono miseramente.
Gli Gnomi erano disperati, solo uno di essi, si chiamava Richino, non voleva arrendersi ed era disposto a combattere per salvare il suo paese, anche a costo della vita. Andò dal Re e, dopo lunga anticamera, annunciò che avrebbe affrontato la foresta per cercare in un altro paese, un mago più potente in grado di annullare l’incantesimo.
Fu così che da solo si incamminò verso gli alberi; già verso il limitare del bosco sentì il rumore dei rami che si agitavano per ghermirlo.
Richino era consapevole dei rischi e si era premunito coprendosi con una tuta in goretex impermeabile alla nebbia che lo proteggeva completamente lasciando scoperti solo gli occhi e il naso. Una maschera da sub proteggeva occhi e naso ed il tubo per respirare era completato da un filtro ad alta densità contro ogni tipo di gas o polvere.
Fiducioso nelle misure precauzionali adottate si offrì alla furia dei rami impazziti e si accorse, con grande compiacimento, che la strapotenza della nera vegetazione si manifestava solo attraverso la nebbia che, piuttosto indispettita, veniva respinta dalla tuta.
Era un panorama infernale! Tutto era grigio o nero, statue di carbone popolavano il bosco stregato  ed i rami erano così intrecciati da impedire il passaggio anche alle formiche rosse, ora trasformate in “ formiche nere”.
Eppure, quando Rico si avvicinò ai rami, questi si ritrassero e lo lasciarono passare. Fu così che raggiunse indenne il limitare opposto della foresta e tornò a rivedere luce e colori.
Non lontana dal bosco, in una radura verde su cui Nebbianera non aveva alcuna potestà, c’era una piccola casetta abitata da tre maghetti, iscritti al primo anno della scuola di magia: due fratellini e la cuginetta Greta.
Ricuccio bussò all’uscio e fu invitato ad entrare. Le bambine, Greta e Costanza, accolsero, curiose, il piccolo gnomo, che raccontò con dovizie di particolari la storia del maleficio di Nebbianera, il maschietto, Federico, prima sospettoso e un po’ ostile, fu poi preso dal racconto e familiarizzò con Rico offrendogli spada e scudo per affrontare la strega. Tutti insieme fecero mille progetti, ma alla fine convennero che l’impresa era troppo ardua senza l’intervento di un grande mago.
Cercarono su Googlemagic, su magicwikipedia, su Facebook for Wizard, e trovarono mille maghi, ma tutti di serie B o C perché i maghi di serie A non sono tipi da Internet Magician; allora lanciarono una e-mail a tutti gli amici e conoscenti chiedendo aiuto. Passarono così intere giornate a riguardare messaggi e notizie senza cavare un cosiddetto ragno dal buco.
Quando le speranze erano quasi esaurite e si sentivano tristi e sconfitti, qualcuno bussò al vetro della finestra: era un passero che si era salvato dalla ragnatela nera fingendosi morto prima di essere toccato dai rami e trasformato in carbone.
Il passero, ancora con il fiatone, accettò una briciola di pane e un poco d’acqua, poi raccontò: “i rami neri stanno cercando di reagire all’incantesimo e sarebbero pronti a catturare Nebbianera, se potessero comunicare con qualche umano e svelare l’antidoto da usare contro il maleficio. Tra loro i vecchi abeti e i larici piangenti si ripetevano, con quello strano stormire di fronde, il vero antidoto che loro conoscevano ma che non potevano rivelare a chi non fosse capace di intendere l’alberese.”
Finalmente un filo di speranza: esisteva l’antidoto! La strega non era imbattibile! Anche gli alberi erano pronti alla ribellione e alla guerra.
Costanza propose di blandire gli alberi con un buon pranzetto;
Federico suggerì di spaventarli con la spada e farsi rivelare il segreto con un linguaggio comprensibile almeno ai maghetti;
Greta si offrì di andare a spiare lo stormire delle fronde, per studiarne grammatica e sintassi, fino a laurearsi in “alberese”.
Il passero accennò con il movimento della piccola testa piumata ad un: No comment! E volò via in cerca di qualche altro aiuto.
Nei giorni che seguirono, i nostri giovani intraprendenti maghetti, si applicarono e studiarono a fondo i vari libri di magia bianca e nera, ma non trovarono notizie certe sull’Alberese.
Gli alberi continuavano, loro malgrado, la marcia verso il centro e il cerchio si stringeva sempre più verso la città degli gnomi. Nessuno rideva più, anche lo stormire delle fronde era divenuto più cupo, come un pianto di alberi prigionieri che pregavano per la libertà, l’aria e la luce scomparse dalla loro foresta.
“Non c’è cosa peggiore di perdere la speranza!” disse , affacciandosi alla finestra del soggiorno, il vecchio Philippus, rintracciato con grandi difficoltà dal passero. Philippus era un mago dei lontani monti pallidi, ma pur sempre un mago esperto e sapiente e portava sempre con sé il filtro della speranza. Sotto il braccio, avvolto in un panno dorato, nascondeva un pacco misterioso.
“Questo, cari ragazzi, è un ottimo traduttore simultaneo di lingue incredibili, inventato da Archimede Pitagorico e forse sarà in grado di tradurre dall’alberese all’italiano. Archimede mi ha assicurato che per questo apparecchio sarà un gioco da ragazzi.”
Lo gnomo esultò e i tre maghetti si misero a ballare intorno a Philippus spingendolo verso il limite del bosco.
Ed ecco il traduttore simultaneo trasformarsi in albero parlante, con leggero accento partenopeo, e cantare, al suono di vibranti mandolini il tanto sospirato oracolo:
“Guarda il nero quant’è bello
Sparirà col sentimento
D’un sorriso aperto e bianco
Come il sole di un gioiello,
sparirà se quel sorriso
sarà fatto con il cuore
come il dono dell’amore
che sprigiona dal tuo viso,
con la gioia dei tuoi occhi
che ti porta in Paradiso.”

Philippus guardò i maghetti che non avevano capito molto di quella filastrocca, e disse loro: “ora sapete come la strega può essere sconfitta. Sta a voi affrontarla perché solo voi potete avere quel sorriso, il sorriso dell’innocenza che appare sulla bocca ma che illumina gli occhi e manifesta la gioia dell’Amore disinteressato e aperto agli altri, umani e non umani.
Lo gnomo intanto spingeva i maghetti verso il bosco, sicuro di essere vicino alla rimozione dell’incantesimo, ma la paura dei bambini era grande, anche perché non erano affatto sicuri che un sorriso avrebbe veramente sconfitto la strega e anche perché non avevano nessuna voglia di sorridere. Poi videro il passero coraggioso volare verso il bosco, quasi a sfidare i rami, lo videro cadere come un sasso nero e mentre Federico agitava la spada verso l’alto in preda  ad un impeto guerresco, le maghette si abbracciarono e scoppiarono a piangere.
Durò solo un attimo, poi i tre maghetti pensarono a tutte le creature del bosco trasformate in statue di carbone, agli alberi rattrappiti e neri e tutti e tre insieme pensarono alla bellezza di un ritorno alla vita e…sorrisero con gli occhi e con il cuore. E allora  dagli occhi dei tre bambini si sprigionò una luce che colpì i rami e si fece fonte di mille raggi che volarono tra le chiome senza più foglie, ridonando la luce, il colore e la vita. E più la luce cresceva, più le creature si liberavano della maschera nera che le aveva paralizzate, più i rami si riempivano di foglie e frutti per recuperare il tempo perduto.
E dalla città degli gnomi verdi, venne il Re e tutti i sudditi: il Re aveva in braccio il figlio che aveva di nuovo il sorriso negli occhi. I sudditi portavano doni e ballavano e cantavano la cantilena che aveva sciolto l’incantesimo.
Nebbianera era paralizzata dallo sgomento e sul suo corpo ossuto si formarono delle placche nere che pian piano l’avvolsero in un abbraccio letale: poi fu solo una statua di carbone.
Il Re non faceva che ringraziare: Ricuccio, lo gnomo coraggioso che aveva iniziato la lotta da solo, il passero che aveva sfidato il bosco nero, i maghetti che avevano rotto l’incantesimo con la spontaneità e l’innocenza del loro sorriso.
Anche gli alberi chinarono le loro chiome, ora di un bel verde splendente, per rendere omaggio ai nuovi eroi della città degli gnomi, e Phlippus, seduto su un morbido, accogliente, ramo di abete riconoscente per lo scampato pericolo, carezzava, felice, la sua barba bianca, orgoglioso dei suoi maghetti che avrebbero meritato la laurea ad honorem in magia anti-inquinamento.

 


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