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LA CITTÀ INVISIBILE - 13 Qwerty e l’allevamento di mosche pacifiste
Creato il 25 aprile 2013 da Ciro_pastoreLA CITTÀ INVISIBILE - 13 Qwerty e l’allevamento di mosche pacifiste*
Come vi ho appena spiegato, Qwerty, il misconosciuto autore del manoscritto da cui ricavo le cronache di Diarcopolis, era costretto da tempo a vivere un’involontaria nullafacenza. Erano anni, infatti, che trascorreva le sue giornate in un ozio forzato che stava rapidamente trasformandolo in un essere privo di pensiero, non solo di azione. L’inattività forzata a cui era stato costretto dalla perfidia della Papessa in Nero, gli stava negando ogni dignità umana.
Fu per questo che decise, anche per dare un senso alle sue inani giornate, di allevare un piccolo animale. Avrebbe potuto scegliere un bastardino o un gatto trovatelo, invece, il suo desiderio di prestare le proprie amorevoli cure si indirizzò su un piccolo animale che di solito viene ritenuto fastidioso, anzi schifoso: una mosca.
I nostri due poveri derelitti, Qwerty lo scrittore in disgrazia e Fly, la piccola mosca, si incontrarono per caso un giorno in cui lei, il piccolo vituperato insetto, tentava di far un lauto banchetto con le briciole del parco pranzo dello scrittore. Qwerty istintivamente l’aveva scacciata via, inorridito come tutti dal suo fastidioso ronzio e dalla fama negativa di “mangiatrici di merda” che quegli insetti si trascinano dietro come un disonorevole fardello da milioni di anni.
Fly, come tutte le mosche, scappò via per sfuggire all’ira di Qwerty, ma come sempre, resa temeraria dalla fame, tornò di soppiatto sui poveri resti del pasto, rischiando di rimetterci la vita. Ma proprio quando Qwerty stava per colpirla con un giornale avvolto a mò di paletta, ecco che Fly emise, con voce flebile ma perfettamente umana, una supplica di lasciarle salva la vita. “Nooo, non uccidermi ti prego”, queste furono le sue parole imploranti. Qwerty, come è ovvio, non credette alle sue orecchie. Pensò di essere vittima di uno stato allucinatorio dovuto alla continua solitudine in cui era costretto. Capita, infatti, che la mancanza di stimoli sensoriali e l’assenza di relazioni quotidiane possano trasformare anche un uomo normalissimo e trasformarne le sue percezioni.
Certo, molti di voi potranno non credere al fatto che la mosca parlava davvero. Ma siccome miliardi di persone credono ed hanno creduto che un tizio circa duemila anni fa è morto e poi è risorto dopo tre giorni, non è poi così difficile credere che una mosca possa parlare, no?
Dopo il primo giustificato momento di sbandamento, Qwerty riprese il controllo della situazione e, con un gesto rapido della mano, catturò la stranissima bestiola “parlante” stringendola nel palmo chiuso della sua mano, stando ben accorto, però, a non serrare troppo la presa, per evitare la morte prematura ed indesiderata della mosca. Era sua intenzione, infatti, tenerla in vita – almeno per un po’ – per sottoporla ad un surreale interrogatorio. Fu così che catturatala, la richiuse prontamente in una piccola scatola a cui, con la punta di un fermaglio fermacarte, praticò una serie di piccoli forellini per consentire il ricambio d’aria e il sostentamento organico.
La scatola diventò così la sicura dimora-prigione dorata della mosca ed anche una strana preziosa “reliquia” da conservare con cura e gelosamente. Qwerty aveva pur sempre suo prigioniero un insetto “parlante”, un fenomeno straordinario della natura, che qualche malintenzionato avrebbe potuto provare a sottrargli per trasformarlo in un popolarissimo “fenomeno da baraccone” con cui fare il tour di tutti i talk show televisivi del pianeta a suon di ingaggi milionari. Anche Qwerty, inutile negarlo, aveva fantasticato su questo possibile utilizzo commerciale della sua improbabile partner, ma poi forse impaurito dalle possibili reazioni delle autorità e al rischio di perderne il controllo, aveva deciso di tenere nascosta la fenomenale notizia.
Ma torniamo al giorno dell’incontro. Una volta rinchiusa nella scatolina, Fly era ritornata soltanto a ronzare, come una comunissima mosca, senza emettere alcun suono che poteva dirsi umano. Allora, Qwerty provò a sollevare il coperchio della scatolina, quel tanto che bastava a vederci dentro, stando ben attento, però, a lasciare lo spazio necessario per la fuga dello straordinario prigioniero. Qwerty la potè così guardare con maggiore attenzione. Era una mosca molto grossa, probabilmente molto vecchia, visto il suo corpicino era tutto ricoperto da un pelo bianco.
Nonostante l’improvviso spiraglio di luce che la colpì, Fly rimase inerme e silenziosa. E allora fu Qwerty che provò a sollecitarne la preziosa risposta rivolgendosi a lei con un amichevole:”Come va?”. Fu allora che Fly, convinta dal tono rassicurante di Qwerty, rispose:”Ci vuole pazienza, tanta pazienza”.”Sai com’è?” disse la mosca, “Quando uno campa mangiando merda, ci vuole sempre molta pazienza per tirare avanti”.”Noi mosche, però” disse ancora Fly, “non abbiamo sempre mangiato merda. Eravamo gli animali preferiti da Re Polonio, eravamo delle splendide farfalle della specie vesuvianensis, tutte stupendamente colorate e potevamo succhiare a sazietà nettare di orchidee. Poi, un bel giorno, arrivò la Principessa Valentina, con tutto il seguito dei suoi fedeli calabroni flegreians, che ci trasformò in orrendi insetti”.
Così Fly, fattasi coraggio, raccontò a Qwerty la penosa vicenda delle farfalle trasformate in mosche. Al suo arrivo la Principessa Valentina aveva chiesto alle farfalle vesuvianensis cosa desideravano da lei e le farfalle stupidamente le risposero che non avrebbero voluto mai più soffrire la fame. Il nettare di orchidee, infatti, era gustosissimo ma spesso scarseggiava e, quindi, le farfalle erano spesso costrette a digiunare. Quindi, speranzose avevano chiesto alla caritatevole Principessa di evitare loro questo strazio. Valentina rispose allora “Non vi preoccupate, io sono la Principessa di Diarcopolis, conterò pure qualcosa? Non vi faccio più morire di fame, statene certe”.
E fu così che con furbizia, fingendo di esaudirne il desiderio, le farfalle furono tramutate per sempre in sporche mosche, costrette a mangiare solo merda, l’unico cibo che non sarebbe mai mancato a Diarcopolis.
Il Signore degli Agnelli *liberamente ispirato dal monologo “SCEMO DI GUERRA” di Ascanio Celestini
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