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LA CITTÀ INVISIBILE - 16 La strage degli innocenti
A Diarcopolis, nonostante i costanti tentativi di minimizzarne la gravità, la situazione era in netto e rapido peggioramento. I talleri tanto attesi, per svariati motivi, non ultimo una complicata stasi politica del Central Staat, erano ben lungi dal riversarsi concretamente nelle casse esauste della sempre più sfinita tesoreria di Diarcopolis. Nello stesso tempo, l’orologio del disastro economico- finanziario continuava inesorabilmente a ticchettare impietoso. Accordi presi a livello del Central Staat avevano, da qualche tempo, aumentato i costi di gestione anche del polveroso personale della ferrovia fantasma di Diarcopolis. O meglio, i costi sarebbero dovuti aumentare, visto che in cassa non c’erano talleri a sufficienza per garantire il rispetto di quell’agognato accordo che, in quelle condizioni, altro non era che simbolica resa alla ineluttabilità della situazione.
Nel frattempo, però, il Tribunale del Sommo Conteggio di Felixia, spulciando i conti della Contabilità di Stato di Diarcopolis, aveva trovato che qualcosa non quadrava in certe operazioni messe in atto, qualche tempo prima, per consentire un salutare allontanamento di qualche baldanzoso alto burocrates. Fu proprio questo strano accadimento che aveva determinato un precauzionale congelamento dei forzieri personali di qualche alta carica di Diarcopolis, almeno finché non si fosse chiarita la situazione. Quel doveroso congelamento costituiva. di per sé, una innovativa modalità nei rapporti con quel Tribunale, solitamente in altre faccende affaccendato e per tale motivo, sempre molto distratto riguardo alle faccende interne di Diarcopolis. Nonostante, però, fosse quasi certa la liceità di quelle operazioni, l’intervento deciso del Tribunale finiva, infatti, per costituire un pernicioso precedente e, soprattutto, eliminava (forse per sempre) quella strana convinzione, diffusa in Diarcopolis a tutti i livelli, di totale impunibilità. Oddio, qualche remora sui quei precisi accadimenti era lecito porsela. In fondo, la contiguità simil parentale di almeno uno dei burocrates, faceva presupporre a qualche maligno osservatore che magari attraverso uno strano “giro equino” la benevolenza fosse destinata ad altri. Come sempre, si sa, “a pensar al male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” (Julius Divus dixit).
Insomma, avrebbe potuto osservare qualche facinoroso giacobino, tra cui non era forzato ascrivere il nostro Qwerty, da una parte si piange giustamente miseria e, dall’altra, si attua una prodigiosa ma esclusiva prodigalità. Misteri delle finanze di Diarcopolis!!!
Come dicevo, nel frattempo, il tempo correva e si approssimavano scadenze improcrastinabili di importanza vitale per la sopravvivenza stessa di Diarcopolis. Ma, nonostante le numerose “spade di Damocle” pendenti sul capo di tutti i cittadini diarcopolesi, tutto procedeva con una strana neghittosa abulia, degna del peggior oblomovismo.
“Panta rei os potamos” (trad. tutto scorre come i fiumi) ci insegnarono i greci. A Diarcopolis, invece, sembrava che tutti stessero fermi come “acque appantanate” e si sa, l’acqua appantanata puzza, dice un meno aulico, ma altrettanto famoso, adagio vernacolare.
In quello stagno che era diventato Diarcopolis, infatti, si stava imponendo un’idea condivisa sia dai burocrates che dai sindacans. Non un progetto, ma una exit strategy che vedeva come vittime sacrificali le truppe di bassa forza di Diarcopolis. Voi direte: “E qual è la novità?” Ebbene, lo ammetto, nessuna novità in quella pseudo strategia. Solo che una novità c’era, eccome se c’era. I numeri dei sacrificandi da immolare al Patto di Fratellanza questa volta sarebbero stati alti, oltre 300, qualcuno – ben informato - mormorava.
E come se non bastasse la stangata per i 300 che erano vivi e presto sarebbero stati (figurativamente) morti, si preannunciava anche un’altra bella ideona: riqualificationes forzata di tutti quelli privi di apposita “casetta” organizzativa.
Qualche burocrates più famelico aveva perfino sostenuto la necessità di azzerare gli accordi diarcopoliani, riducendo le paghette al minimo concesso secondo gli accordi del Central Staat (la fame garantita!!!), ma forse questa ipotesi serviva solo per impaurire (come se ce ne fosse stato ancora bisogno) le già impaurite truppe di bassa forza.
A raccontarla così, c’era da non crederci. Altre volte, erano circolate voci altrettanto catastrofiche e, poi, tutto era sfumato come bolle di sapone. Eppure, stavolta c’era da crederci, si approssimavano realmente tempi da Lupi (neo Gran Ciambellano dei Trasporti presso il Central Staat n.dr.), a meno che non li avesse salvati in extremis Vincent Delucas, sovrano incontrastato del Principato di Salerno.
Il Signore degli Agnelli
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