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LA CITTÀ INVISIBILE - 18 Diarcopolis: una e trina

Creato il 16 maggio 2013 da Ciro_pastore

LA CITTÀ INVISIBILE  - 18 Diarcopolis: una e trina LA CITTÀ INVISIBILE -18 Diarcopolis: una e trina
Diarcopolis, possedeva due città gemelle. Alla città terrena, infatti, si contrapponevano due sue copie, una celeste e l’altra sotterranea. Due città così simili ma anche così diverse dalla Diarcopolis che abbiamo cominciato a conoscere grazie a Qwerty.
La Diarcopolis Terrena, nei tanti anni di degradazione, era oramai svuotata dalla carestia, arrugginita ed intasata per incuria e per carenza di addetti alla manutenzione, si ripopolava solo per il riemergere, da bui scantinati e fetide tane, di orde di sopravvissuti che, come famelici topi impazziti, avevano preso a brulicare, mossi dalla smania di rovistare e rodere ogni cosa fosse ancora commestibile. S’attaccavano a tutto quel che poteva essere asportato per essere trasferito in altro posto e servire a qualche altro uso: le griglie di ferro battuto dei cancelli finivano per essere utilizzate come improvvisati barbecue per arrostire carcasse di gatto o di cane, utilizzando come legna da ardere le traverse dei binari asportate dalla rete.
Prendeva, così, forma una Diarcopolis della sopravvivenza, tutta tuguri e catapecchie, rigagnoli infetti, gabbie per galline e conigli. Eppure, dell’antico splendore di Diarcopolis non s’era perso quasi nulla. In fondo, era ancora tutto lì, solamente disposto in un ordine diverso, senza senso, ma che era appropriato alle mutate esigenze dei suoi abitanti. Il caos regnava supremo ma tutti sembravano a proprio agio, come se nulla fosse più desiderabile di quel disordine, fisico e morale.
A Diarcopolis, le popolazioni e i loro usi cambiavano in quei giorni così rapidamente che quello che era vero il giorno prima non era mai vero il giorno seguente. Della vecchia Diarcopolis restavano solo il nome, la sua ubicazione geografica e la linea ferroviaria che, come abbiamo più volte ricordato, galleggiava nell’aria come se fosse fatta di leggerissime piume che il vento può, a suo insindacabile giudizio, portar via.
La Diarcopolis Sotterranea era, invece, abitata da tutti quelli che fino ad allora erano vissuti e morti nella Diarcopolis Terrena. La città “di sotto” era una città in cui tutto pareva uguale alla Diarcopolis che viveva alla luce del sole. In tutto e per tutto identica: l’unica grande differenza era data dal fatto che, lì in basso, i morti avevano la percezione di esser morti, mentre lassù in alto, nella Diarcopolis dei vivi, quei vivi erano anch’essi morti da un pezzo, ma non sapevano di esserlo. Anzi, ciò che stupiva era che i diarcopolesi “di sotto” apparivano, in qualche strano modo, più vivi e vegeti di quanto non lo fossero i diarcopolesi vivi per davvero.
Il motivo di tanto vivido “spirito vitale” era da ricercare nella diffusa abitudine dei diarcopolesi “di sotto” di riunirsi, in grandi e piccoli assembramenti, per raccontarsi del passato glorioso della Diarcopolis che fu, e non era più. Era tale la voglia di rivivere i fasti di una stagione, oramai definitivamente tramontata, che nella Diarcopolis sotterranea si organizzavano veri e propri tornei di “cantastorie”. In questi tornei erano soliti primeggiare quelli che da vivi erano stati grandi Sindacans che mostravano, anche nella Diarcopolis sotterranea, le loro doti di inguaribili affubalatori e finivano per ripetere, come in un infinito karma, la loro precedente esperienza terrena: raccontare storie, occupazione in cui eccellevano, sia in vita che da morti.
Esisteva anche una Diarcopolis Celeste. Una vera e propria città situata nell’alto dei cieli, in cui tutto era bianco ed immacolato, mondato da ogni peccato terreno. In quel luogo, senza tempo e senza odio, ciascun diarcopolese trovava la sua redenzione. Non importava, infatti, quanto fosse stato malvagio nella sua esperienza di vita terrena: alla Diarcopolis Celeste, infatti, poteva accedere chiunque, anche la peggiore delle peccatrici. Anzi, essere stata in vita una grande peccatrice, avere compiuto anche le peggiori nefandezze, non era motivo ostativo per l’accesso a quello che potremmo tranquillamente definire il “Paradiso di Diarcopolis”. Diversamente da quanto prescritto da quasi tutte le principali religioni, al Paradisodiarcopoliano si accedeva liberamente. La cosa più sorprendente, poi, era che, per essere accolti nella Diarcopolis Celeste, non era necessario nemmeno esser morti. Così, ci si poteva ritrovare fra i beati cittadini di quella inusuale città ultraterrena, mentre il proprio corpo peccatore continuava a vivere nella ben più laica e laida Diarcopolis Terrena.
Quindi, non vi stupirà minimamente che nella Diarcopolis “di sopra” era diventata un’autorità, venerata e rispettata, la copia beatificata dellaPapessa in Nero che era, in tutto e per tutto, simile al suo avatar terrestre, fatta eccezione per essere vestita perennemente di bianco virginale. Ragion per cui, in quel luogo santo, era, ovviamente, chiamata la Papessa in Bianco.
Così come la Papessa in Nero della Diarcopolis Terrena si era macchiata (e continuava a macchiarsi) dei più orrendi delitti e delle peggiori infamie, così il suo alter ego celeste era, invece, riconosciuta come grande e pia benefattrice, dispensatrice di gioia e pace. Se la Papessa in Nerocommetteva spergiuro, tradimento, ladrocinio, corruzione, la Papessa in Bianco, nello stesso tempo, si prodigava instancabilmente per il bene dei poveri e dei deboli. Ogni sua azione traboccava di bontà, così come ogni comportamento della sua omologa terrena trasudava malvagità e cupidigia.
Le due Papesse, però, erano accomunate dal medesimo destino: entrambe sarebbero finite, ricongiungendo i propri corpi, per morire e, quindi, trasferirsi nella Diarcopolis Sotterranea. Sarebbe stato quello il momento in cui, forse, dalla ricongiunzione di quei due corpi così simili nelle sembianze, ma diversi nell’anima, i diarcopolesi avrebbero potuto finalmente conoscere, dalla sua voce tremante ed impaurita, l’insostenibile peso della propria vita terrena e celeste, ricca di peccati inconfessabili che avrebbero chiarito i tanti misteri oscuri di Diarcopolis.
Il Signore degli Agnelli

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