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LA CITTÀ INVISIBILE (2) Seconda (e forse ultima?) parte
Pur essendo diventata in gran parte invisibile, era facile intuire che Diarcopolis doveva essere stata una bellissima città. Doveva aver avuto splendide ed eleganti piazze, meravigliosi viali alberati e stupendi palazzi nobiliari.
Di tutto questo precedente splendore non restava più nulla di tangibile, ma alcuni degli abitanti di Diarcopolis riuscivano ancora a riportare alla mente i fasti del passato grazie all’unico edificio sopravvissuto: la residenza reale.
Versoil, così era conosciuto fra i diarcopolesi, era il Palazzo Reale che tutt’ora ospitava Re Polonio e la Principessa Valentina. Un luogo ricco di storia e ancora fonte di prestigio per i suoi augusti inquilini. Un luogo che, però, aveva una stranissima e sorprendente particolarità: ogni stanza, ogni parete, perfino ogni soffitto, era ricoperto di specchi. Non vi era luogo in quel palazzo in cui non vi fossero specchi. Questa incessante superficie riflettente condizionava la vita stessa degli inquilini del palazzo. Ogni cosa, infatti, aveva il suo doppio riflesso. Tutto in quel palazzo era duplicato, comprese le persone che lo abitavano. Ma come ognuno di noi sa bene, lo specchio riflette la realtà invertendone il verso. Se una donna ha un neo sulla guancia destra, riflettendosi allo specchio avrà la sensazione che il duo doppio abbia quel neo sulla guancia sinistra. Ecco perché a Versoil ogni originale appariva soltanto simile alla sua replica riflessa. Uguali, ma anche diversi, in fondo.
A complicare la già surreale situazione, ogni persona che viveva a Versoil aveva due facce. Sì, due facce. Una posizionata proprio laddove c’è la aspetteremmo. L’altra, era posizionata al posto della nuca e sempre celata da un cappuccio. I due volti erano molto simili, ma in fondo diversi, molto diversi. Una faccia, quella nascosta, uguale ma diversa, era come il prodotto di uno specchio lievemente deformante che ne lasciava inalterati i lineamenti fondamentali ma che, allo stesso tempo, ne rendeva palpabile la sottile differenza.
Le uniche persone ad avere un solo volto erano i due diarchi. Re Polonio e la Principessa Valentina, infatti, erano gli unici a potersi mostrare pubblicamente a capo scoperto.
L’intero Palazzo Reale era, invece, popolato da orde di cacicchi, satrapi, vasalli, funzionari e truppe cammellate, tutti pronti a passare sotto le insegne di uno qualsiasi dei diarchi o, peggio ancora, pronti a servirli entrambi.
Il vero problema da gestire a Diarcopolis, come ciascuno di voi miei pazienti lettori avrà inteso, non era di certo il regime costituzionale diarchico. La diarchia, infatti, non è di per se stessa un sistema malato, anzi, talvolta può essere un utile stratagemma per mitigare il potere di un monarca assoluto, spingendolo ad usare la sua forza con moderazione.
Ciò che minava alla base l’esistenza stessa di Diarcopolis, invece, era l’esistenza di una pericolosa duplicazione delle strutture burocratiche, in eterna contrapposizione fra loro. Da una parte la burocrazia ufficiale quella dei grand commis che prestano la loro opera fedele alle procedure, alle leggi, ai regolamenti. A questa burocrazia appartengono i volti alla luce del sole in cui tutto sembra seguire l’andamento lento, quasi sonnacchioso, che per secoli aveva imperato a Versoil.
In maniera sotterranea, però, operava un’altra struttura burocratica parallela, specchio riflesso della prima. Appartengono a questa burocrazia segreta gli stessi burocrati membri della struttura ufficiale, con l’unica differenza che, ad operare nel buio delle tenebre, vengono chiamati i volti nascosti, quelli di solito coperti dai cappucci.
La cosa davvero sorprendente, infatti, è che la stessa persona poteva contemporaneamente servire apertamente Re Polonio e, allo stesso tempo, servire in gran segreto anche la Principessa Valentina. E questa immensa simulazione era possibile semplicemente variando a piacimento (e per un numero infinito di volte) il volto che si metteva a disposizione. Tutti i voltafaccia non erano mai palesi. Ciascun membro della burocrazia poteva rapidamente mutare a piacimento il proprio volto e, quindi, adeguarlo alla situazione, senza che nessuno se ne potesse accorgere. Vittime di questo gioco perverso, in fondo, erano soltanto i due diarchi, convinti di poter contare su truppe fedeli, pronte a dare la propria vita per il proprio Signore.
L’esistenza di questi due centri di potere, in cui solo la burocrazia giocava con spregiudicatezza la propria partita, creava però danni incalcolabili per la sopravvivenza di Diarcopolis. Giorno dopo giorno, la città si impoveriva. Non solo i diarchi, ma soprattutto i cittadini ed i lavoratori delle strade ferrate erano vittime inconsapevoli della famelica sete di potere e di ricchezze di quella insostenibile burocrazia che oramai puntava solo alla propria sopravvivenza, e ciò anche a scapito del futuro stesso di Diarcopolis. (continua?)
Il Signore degli Agnelli
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