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La classifica dei falliti è la classifica della vergogna

Creato il 22 giugno 2010 da Andima
Giorni fa è stata pubblicata la classifica degli stati falliti, gli stati messi peggio secondo indicatori politici, economici e sociali. Dalla classifica e dalla mappa riassuntiva, sembra chiara la situazione globale: tra i primi 20, 15 sono paesi africani e l'Africa è il continente più fallito. Da quando la classifica è nata nel 2005, tra le prime dieci posizioni si son sempre alternati soltanto 15 paesi, insomma i falliti non riescono ovviamente a rialzarsi mentre l'occidente storicamente ricco continua a dominare. Ma che c'è di nuovo in una classifica del genere? Cosa c'era da aspettarsi da un continente come l'Africa depredato e violentato durante anni di colonialismo e barbarie? Quanta falsità c'è in quell'indice che etichetta come fallimenti ma dovrebbe invece gridare alla vergogna?
Se dopo anni di conquiste alla ricerca di risorse naturali e sfruttamento umano si erigono poi governi fantocci mascherati da democrazie ed indipendenze o si lasciano interi territori in preda a guerre e lotte intestine in modo da continuare a controllare indirettamente impedendo crescita economica e sociale, il fallimento è locale o globale? Se pochi stati prosperano sulla povertà di un intero continente in un equilibrio sicuramente ingiusto e ben mascherato da aiuti umanitari e falsi sorrisi e strette di mano (quando basterebbe semplicemente estinguere un debito centenario simbolo del neocolonialismo) e la classifica sembra quasi perfettamente combaciare con la mappa del sud del mondo, che senso ha parlare di fallimenti quando la colpa non è di quei paesi nella top 10 dei falliti ma di chi continua a vivere nel benessere a loro spese?

Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso per 4 anni e protagonista di una ricrescita economica senza precedenti nel suo paese, lo gridava apertamente perché credeva nello sviluppo africano e nella possibilità di migliorare le cose, quando affermava che

"quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato, sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. [...] Noi non c'entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, anzi dovremmo invece dire "assassini tecnici". Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei "finanziatori". [...] Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall'imperialismo, è una riconquista dell'Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee.
[...] Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto ad esporvi qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. Non c'è un solo filo che venga d'Europa o d'America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E' il solo modo di vivere liberi e degni."

Era il 1987, alla conferenza per l'unità africana e quelle parole erano troppo scomode per i governi occidentali, troppo rivoluzionarie, avrebbero potuto cambiare e migliorare l'Africa a danno però degli sfruttatori in giacca in cravatta. E infatti appena qualche mese dopo Sankara fu assassinato, la storia ci racconta a causa di un colpo di stato interno e invece fu tutto manovrato dai salvatori americani per mano della CIA.

Quella classifica insomma dovrebbe cambiare nome e significato: i falliti non sono certo loro.

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