La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda è in scena da mercoledì scorso (19/11/14) al Teatro Out Off di Milano, in un riadattamento a opera di Lorenzo Loris. Questo spettacolo si inserisce nella ricerca artistica del regista, focalizzata su Milano e i suoi autori, che aveva già portato in scena Arbasino e Testori e nel 2011 lo stesso Gadda con L’Adalgisa.
La storia della Cognizione del dolore è abbastanza semplice e linerare: in un Sudamerica terribilmente simile alla Brianza lombarda – realtà provinciale, fabbrichette a gestione famigliare, mentalità piccolo borghese – Gonzalo vive solo con la madre in una grande villa, di cui entrambi si sentono prigionieri, e nella quale entrambi assaporano la propria aspra cognizione del dolore. Per l’una, essa è dovuta alla morte di un figlio, perso in guerra – riferimento alla prima guerra mondiale che Gadda non ha mai dimenticato – e il cui vuoto non è stato riempito dalla rimanenza dell’altro figlio, con cui vive un complicato rapporto di sottomissione e riverenza; per l’altro, è l’impossibilità di vivere in un modo normale, di rendersi autonomo, a livello sia personale che professionale, poiché Gonzalo non si riconosce nella società in cui vive, detestando infatti lo stato del Maradagal, popolato dai peones che non sopporta e alle cui logiche (quella del servizio obbligatorio di sorveglianza notturna, per esempio) non vuole piegarsi e non riconosce. In questo scenario famigliare alquanto denso, arriva l’omicidio della madre, di cui non si ha certezza dell’esecutore ma su cui aleggia la colpevolezza di Gonzalo. Non si ha certezza perché anche questo romanzo gaddiano è incompleto; ad ogni modo, questa è la versione che vuole accreditare Lorenzo Loris, molto ben simboleggiata nella scena finale dello spettacolo, dove al buio intravediamo l’ombra dall’alto di Gonzalo che cade su tutti i personaggi.
Assistendo allo spettacolo non è possibile non apprezzare la meravigliosità del testo gaddiano, ripreso con cura da Loris, e spesso “letto” dagli attori, che raccontano la scena e i pensieri dei personaggi non solo riprendendo le parole di Gadda ma anche utilizzando la terza persona, come se stessero effettivamente leggendo il libro, dando il senso della narrazione romanzesca al tutto. Un testo senza alcun dubbio complicato, estremamente ricco, alacre in alcune sue riflessioni ma in cui la sagace ironia gaddiana scoppia portentosa – ironia che gli attori sul palco sanno trasportare benissimo. Spicca per la sua interpretazione Mario Sala, in un Gonzalo pieno di idiosincrasie, inquietudine e ridicolaggine; ed anche Monica Bonomi come madre sottomessa e sofferente.
Iniziativa parallela allo spettacolo sono le quattro conferenze su Carlo Emilio Gadda cui si può assistere per maggiori chiarimenti al riguardo (tutte le info qui).
Tra le variopinte offerte teatrali della città di Milano, (ma credo si sarebbe potuto dire lo stesso ovunque), mi ha stupito trovare in cartellone l’opera gaddiana, e per curiosità e scommessa sono andata a teatro. Plaudo a Lorenzo Loris e ai suoi attori per la sua scelta, cui posso rimproverare forse solo una certa stanchezza nella prima parte della messinscena, e vi riporto le sue parole, dalle note di regia:
(…) come giungere a questa cognizione, ovvero quali strade percorrere per avvicinarsi alla nozione del dolore? Come fare del dolore non solamente argomento di trattazione ma dipingerne i paesaggi, i movimenti, i silenzi di personaggi creati a parole? Poiché la “cognizione” del mondo si rivela lo scopo principale di ogni attività umana, dato che capire il caos significherebbe nello stesso momento dominarlo, Gadda non riproduce, non rispecchia la realtà, ma la indaga, la scruta, la ipotizza per darne l’immagine più completa e più veritiera.