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La collina dei papaveri (2011, tit. or Kokuriko-zaka kara) di Miyazaki Goro è un anime impegnato: nella folla di personaggi che scorazzano in questa Yokohama anni '60, emergono storie di una comunità che tiene alle tradizioni in modo oggi incredibile. In più occasioni si sfiora un profondo sentimento religioso che però si traduce poi in una più marziale - ma non per questo meno profonda o genuina - disciplina patriottica. I ragazzi che protestano, che tengono al loro spazio di espressione e di libertà, non sono vacui e modalioli hippy, ma vengono rappresentati come giovani impegnati, che credono in quel che fanno. Anche l'imprenditore convocato dalla comunità del Quartier Latin si presenta nel modo più serio e favorevole possibile. Sembra quasi che la sceneggiatura (di Miyazaki Hayao e Niwa Keiko su un manga di Sayama Tetsurô) tenga molto a proporre un modello positivo di vita, a rischio di sfiorare il senso di una stucchevole compiacenza.
Ma non è così: il fiabesco viene dato qui dall'esperienza unica dello Studio Ghibli, che punta su una resa artistica ancora una volta capace di superarsi: la produzione de La collina dei papaveri si basa su un progetto grafico capace di prospettare quadri ariosi e onirici e di mostrare il consueto virtuosismo sia nell'uso del disegno che in quello delle tinte, ora decise, ora più sfumate. L'estrema ricchezza della tavolozza cromatica non smette di stupire pur nella conferma delle sue preferenze: ci sono, anzi, anche momenti nei quali la luce di taglio (dell'alba e soprattutto del tramonto) dà luogo a immagini mozzafiato, luminosissime senza essere troppo "smaltate". Nonostante una sintassi narrativa un po' atipica, in più di una sequenza ho trovato La collina dei papaveri parecchio emozionante e suggestivo, una piccola gemma per gli adulti e per i giovani più maturi e riflessivi.
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