Preambolo #1
No, no e poi no. Ho provato a scrivere una recensione se non elogiativa, quantomeno positiva, ma mi sono bloccata al primo paragrafo. E quando mi blocco significa solo una cosa: non sono sincera con me stessa. Dal momento che voglio esserlo prima di tutto nei vostri confronti, ho deciso di dire la verità, tutta la verità, su quello che penso de La collina del vento del Premio Campiello 2012 Carmine Abate.
Probabilmente vi chiederete perché non sia stata immediatamente sincera (vi assicuro che lo sono sempre); ebbene, la risposta è semplice: ho avuto modo di seguire una presentazione del libro e Abate non solo mi aveva convinta, ma il suo eloquio travolgente mi aveva conquistata. Al punto che proprio in quell’occasione che ho deciso di acquistare il romanzo.
Preambolo #2
Io amo visceralmente la letteratura dedicata alle grandi saghe familiari, al susseguirsi delle generazioni nel corso del tempo. E la amo specie se ambientata al Sud. Mi riferisco al capolavoro assoluto di Márquez, a Mille anni che sto qui di Mariolina Venezia (a sua volta vincitrice del Campiello nel 2007), un po’ anche alla Storia della Morante, e poi a tanti titoli che ho bene a mente, ma che non ho avuto ancora il piacere di leggere, come La casa degli spiriti, Lessico famigliare, i Buddenbrook e via dicendo.
Chiariti questi punti, passiamo a parlare della Collina del vento. Come avrete dedotto, credevo di avere fra le mani un romanzo che fosse alla stregua dei su citati. Le premesse c’erano tutte: una famiglia, gli Arcuri; una regione del Sud Italia a inizio Novecento, la Calabria; un emblema familiare da difendere, la collina del Rossarco. E poi la Storia del XX secolo e il suo impatto devastante sulle piccole realtà del nostro Sud, i cambiamenti generazionali, un pizzico di mistero… Stop! Ecco qual è il punto debole del romanzo. Il mistero. I misteri, anzi: tre o forse più, che avrebbero lo scopo di rendere accattivante la lettura e attirare una fetta maggiore di lettori, ma che di fatto ne escludono un’altra. Essì, perché oggi se nei romanzi non c’è almeno un mistero da risolvere, il libro non vende. Insomma, Abate (o chi per lui), che aveva sulla punta della penna una storia dal potenziale enorme, ha deciso di piegarsi alle logiche editoriali e ha vergato pagine che rispondessero perfettamente ai giochetti di cui sopra. Col risultato di accaparrarsi in effetti buona parte del pubblico, vincere il Campiello, ma sacrificare una bella storia, che qualcun altro avrebbe potuto apprezzare molto, molto di più.
Dirò di più: se solo lo stile fosse stato più ironico e stuzzicante, forse avrei anche tollerato quell’eccesso di mistero. La penna di Abate, difatti, è limpida, cristallina, chiarissima… Forse troppo. Per dirlo con una metafora: acqua liscia, che è sì dissetante, ma non ha brio.
Ora sembra che io abbia voluto stroncare questo romanzo, ma non è esattamente così. La collina del vento, tutto sommato, è un buon libro, che si fa leggere da tutti ed è scorrevole e piacevole. Solo non ha mantenuto le aspettative, negando le potenzialità che vi avevo scorto, e io ho voluto essere onesta fino in fondo.
Angela Liuzzi
Carmine Abate, La collina del vento, Mondadori, 17,50 euro