Generalmente si fa inaugurare questo filone aureo del cinema italiano con I soliti ignoti di Monicelli del 1958, ma già un film dello stesso regista del 1951, Guardie e ladri con Totò e Fabrizi, rispondeva in pieno ai canoni della Commedia all’italiana; così come Lo Sceicco bianco (1952) e I vitelloni (1953) del giovane Fellini o Un americano a Roma di Steno, tutti interpretati dall’attore più rappresentativo del filone, Alberto Sordi, il quale creò la maschera centrale di questo tipo di commedia: il mediocre ambizioso, gradasso e pusillanime, opportunista e fallimentare, capace comunque di un ultimo scatto d’orgoglio. Di questa maschera, una generazione di grandi attori come Gassman, Mastroianni, Tognazzi e Manfredi diede interpretazioni personalizzate, ma sempre incisive, tese ad evidenziare i retroscena dei miti della modernità e le ipocrisie delle convenzioni morali nella nascente società del benessere. Accanto a loro, attori e attrici di prim’ordine, affermati ed esordienti; tra i meglio identificabili con il genere, da ricordare Franca Valeri, Sofia Loren, Monica Vitti, Mariangela Melato, Stefania Sandrelli, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste, Stefano Satta Flores, Enrico Maria Salerno, Giancarlo Giannini, Lando Buzzanca, Alberto Lionello, i fratelli Giuffré e Carotenuto. Tutti nelle sapienti mani di registi come, oltre ai già citati Monicelli, Zampa e Steno, Pietro Germi, Dino Risi, Vittorio De Sica, Ettore Scola, Marco Ferreri, Antonio Pietrangeli, Luigi Magni, Luciano Salce, Nanny Loi, Lina Wertmuller. Senza dimenticare sceneggiatori come Age & Scarpelli, Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati e Suso Cecchi D’Amico.
La Commedia all’italiana non si è limitata alla satira della realtà sociale, ma si è dedicata a smitizzare anche la storia patria, come l’eroicomico dittico medievale del Brancaleone di Monicelli o gli splendori e le miserie risorgimentali di Luigi Magni. Così come si è dedicata a ironizzare sulle più recenti drammatiche esperienze delle due guerre mondiali e del ventennio fascista (La Grande Guerra di Monicelli, Tutti a casa di Comencini, La marcia su Roma di Risi e Il Federale di Salce). Ma il terreno di gran lunga più battuto è stato quello della veloce trasformazione della società italiana negli anni del boom, evidenziando la crisi dei valori tradizionali soffocati dall’edonismo e le contraddizioni tra la morale cattolica ancora dominante e la liberalizzazione dei costumi conseguente all’affermazione del consumismo. Diversi film sono diventati paradigmatici nell’affrescare l’epoca di riferimento e gli effetti collaterali del boom nell’Italia provinciale e moralista del tempo: è il caso di Il sorpasso(1962), I mostri (1963) e L’ombrellone (1965) di Dino Risi e di Divorzio all’italiana (1962), Sedotta e abbandonata (1964), Signore & signori (1965) di Pietro Germi.
La fine del boom e la plumbea atmosfera in cui sfociò la contestazione giovanile, portarono la Commedia all’italiana negli anni settanta a incupirsi nel cinico disincanto della farsa nichilista (La grande abbuffata del 1973 di Ferreri e Amici miei del 1975 di Monicelli), nel canto del cigno del genere (C’eravamo tanto amati del 1974 e La Terrazza del 1980 di Scola), nelle problematiche legate alle croniche tare del sistema sociale italiano (il dittico del medico della mutua Tersilli/Sordi diretto da Zampa e Salce nel 1968 e 1969; In nome del popolo italiano di Risi e Detenuto in attesa di giudizio di Loy del 1971; Un borghese piccolo piccolo di Monicelli del 1977). Una rivitalizzazione del genere, ottenuta calcando la mano sul caricaturale e recuperando una provincialità naif ormai sepolta sotto l’omologazione consumistica, la si deve a Lina Wertmuller (Mimì metallurgico del 1972, Storia d’amore e d’anarchia del 1973, Travolti da un insolito destino del 1974, tutti interpretati dall’esplosiva coppia Giannini-Melato), ma anche a Scola (Dramma della gelosia, 1970), con lo stesso Giannini coinvolto in un triangolo proletario con Mastroianni e Monica Vitti.
Diversi sono stati i tentativi di remake hollywoodiani della Commedia all’italiana, il più riuscito dei quali, a mio parere, risulta essere Scent of woman del 1992, diretto da Martin Brest e interpretato da Al Pacino, trasposizione americana di Profumo di donna, diretto da Dino Risi nel 1974, con la magistrale interpretazione di Gassman. Intanto, iniziava a farsi largo un tipo di commedia di poche pretese, incentrata sulla comicità grassa e sull’ostentazione del corpo femminile, interessante più che altro per la varietà delle caratterizzazioni comiche. Dagli anni ottanta, nonostante i tentativi di nuovi attori e registi di talento, la Commedia all’italiana ha perso la sua specificità sociologica e la coralità che l’avevano contraddistinta nei tempi d’oro, soffermandosi piuttosto sul macchiettismo sentimentale e psicologico, perdendo in questo modo l’afflato di fenomeno sociale e la capacità di rispecchiare fedelmente la società italiana, pur mantenendo il successo di botteghino.