La conchiglia di susanna

Da Nina
Eccomi come promesso a riprendere l'appuntamento tanto atteso con le conchiglie, il nostro spazio di incontro e ascolto, il luogo in cui ci affidiamo le une alle altre e attraverso le parole di ognuna, attraverso le storie che vengono condivise, ritroviamo un po' di noi, ci facciamo coraggio, guardiamo al presente con più serenità. E' incredibile il potere che tutto questo ha, una sorta di specchio attraverso il quale guardare alla propria vita con occhi nuovi e un cuore più leggero. Ho deciso che una piccola presentazione proverò sempre a farla, perché non ce la faccio a restarmene proprio zitta zitta, non per egocentrismo o logorrea, ma proprio perché ci tengo troppo a questo spazio e a tutte voi, la mia gratitudine è immensa e questo è uno dei modi che ho per dimostrarvelo.Se a volte non ci riuscirò non vogliatemene, l'intenzione c'è sempre, così come il desiderio.
Lei è Susanna, la sua conchiglia mi è arrivata ad agosto, pochi giorni dopo la nascita della mia Perla cicciosa. Era un momento così forte, di apertura totale per me, che leggere le sue parole ha fatto su di me l'effetto di una folata di vento improvvisa, che fa sbattere le persiane spalancate sul mondo.
...Vorrei davvero che, come un atto psicomagico, questa conchiglia sulla spiaggia venisse il mare e se la portasse via, lontano, nelle sue calde profondità.

E io le rispondevo, tre giorni dopo, nonostante l'uragano Simone mi avesse investito. Solo poche parole, perché l'istinto, appena letta, era irrefrenabile. Volevo che mi sentisse, volevo sapesse che c'ero, che la comprendevo, che accoglievo lei e il suo enorme peso. Perché portarlo in due rende tutto più leggero. E ora saremo in tante a tenerlo, ognuna metterà quel che può, una mano, una spalla e tutto sarà più sostenibile. Forse poi è questo il potere magico che hanno le conchiglie: qui ci concediamo il diritto che troppo spesso fuori ci viene negato, il diritto di stare male, di soffrire per la maternità/paternità negate, il diritto di sperare e lottare, senza sentirci giudicati, sminuiti, biasimati.Ho letto. Sei una donna meravigliosa e meriti la gioia, come ognuna di noi. La meriti come ogni essere umano, come diritto di nascita. La meriti perché siamo qui per questo: per sbagliare e poi imparare dai nostri errori. Amati, hai fatto quel che potevi con la consapevolezza di allora, con gli strumenti che avevi a disposizione. Perdonati perché sei umanaTi porto nel cuore.Qui, oggi, troviamo anche quello che più ci spaventa, ma con cui, secondo me, tutte a un certo punto dobbiamo fare i conti: l'eventualità di una vita senza figli. Per scoprire che dentro di noi c'è un universo di amore, che genera la vita giorno dopo giorno. Che accanto a noi c'è un sole che sorge ogni mattina e ci illumina, che la nostra esistenza è ricca e tanta. Che la realizzazione e la felicità possono arrivare in mille altri modi, rendendoci piene e appagate comunque. E' un percorso lungo e sofferto, ma quel che si arriva poi a conquistare è un bene così prezioso e raro, da non avere eguali. Perché il senso della vita bisognerà cercarlo altrove, senza passare per la via preferenziale che è un figlio. Con lui viene automatico, è più facile, senza di lui invece lo sforzo che ci è richiesto è immane, tanto da rendere chi riesce nell'impresa, ai miei occhi, un eroe, degno di massimo rispetto e ammirazione. E riuscire a elaborarlo e trasformarlo è davvero una conquista enorme, di quelle che, come giustamente hai detto tu Susanna, andrebbero riconosciute e mostrate con orgoglio (e ogni volta io penso anche a te, mia dolce e forte Sandra).*
Postilla importante: spero abbiate letto il post precedente in cui spiegavo le nuove regole, diciamo così. Non ho avuto molto feedback, però immagino ne abbiate preso atto. E' necessario che da adesso in poi io possa contare sulla vostra collaborazione, ci tengo molto a continuare con le conchiglie e le Perle. Io attendo le vostre mail, soprattutto aspetto gli aggiornamenti di Giorgia Land e Dreaming your smile. E le Perle delle conchiglie che nel frattempo hanno partorito. Contattatemi, scusatemi se non riesco più a farlo io con la modalità di prima.*LA CONCHIGLIA DI SUSANNA

“Ciao Nina, da qualche giorno ho scoperto il tuo blog. Ho iniziato il percorso della PMA e sto facendo le punture per la stimolazione ovarica (credo si chiami così...). Prossima settimana, se tutto va bene, facciamo il pick-up. Oggi, in sala d'aspetto, all'ospedale, finalmente ho scritto qualche cosa. È stato importante, per me, era tanto che volevo farlo. Questo, comunque vada, è comunque un momento così importante della mia vita, mi gioco tutto, mi metto completamente a nudo... E sento la voglia e il desiderio, la necessità, forse, di condividere le mie emozioni e riflessioni, se si può, con una conchiglia. Che inizia oggi.” 

Così ho iniziato a scrivere a Nina. Era dicembre 2012, ero convinta che il mio primo tentativo di fecondazione assistita avrebbe avuto successo. Non ero piena di speranza, ero proprio, ingenuamente, convinta. Poi non è andata affatto così. È stata dura, durissima. Abbiamo ritentato a maggio, stesso risultato. Ora ci lecchiamo le ferite, aspettiamo un po’, ritenteremo. Nel frattempo, in tutti questi mesi, faticosi, dolorosi, intensi, di alti e bassi giganteschi, è proprio vero, mi sono dovuta confrontare con me stessa, del tutto, a fondo, senza sconti, senza limiti. E allora ho cominciato a pensare che il testo che mandai a Nina a dicembre, va bene, è bello, è una parte importante di me, per questo lo lascio in fondo a questa conchiglia. Ma è giusto che in questa conchiglia entri anche l’altra parte di me, quella brutta e sporca, quella che, nelle altre conchiglie che ho letto sino ad oggi qui e anche altrove (ma confesso di non aver letto tutte le vostre meravigliose, emozionanti conchiglie) non ho mai incontrato. E ancora adesso, mentre sto per scriverne, ancora adesso, dopo mesi che penso che quando Nina mi dirà, ecco, ora tocca a te, vuoi aggiornare la tua conchiglia, ne scriverò, ancora adesso mi chiedo se abbia senso buttare, in mezzo a tutte queste storie di sofferenza e amore, una cosa così brutta. Alla fine ho compreso che solo tutto scrivendo, Tutto, anche l’Abisso, che è il Mostro Orrendo che mi porto dentro, solo così questa conchiglia avrà un senso. Forse, Nina, deciderai di non pubblicarla, perché troppo forte e oltraggiosa. E io non potrò che essere d’accordo con te. Solo non posso scriverne solo un pezzo, quello più “soft” e tacere il resto, devo scrivere tutto. Perché questa è la mia Storia.Potrei partire da quando, ancora adolescente, pensavo che mai avrei voluto essere madre, quando per anni scacciai da me l’idea di femminilità, l’essere donna, femmina, madre. Oppure potrei partire da quando, nel 2008, rimasi incinta subito, come ancora credevo succedesse, e come poi però scoprii che le famose “beta” crescevano troppo poco, dell’aborto interno, del raschiamento, dei pianti e del dolore. Del fare finta di nulla con gli amici, dato che nessuno lo sapeva tranne il mio compagno di allora, del fare finta di festeggiare due giorni dopo il Capodanno. Potrei raccontare, invece, di come, neanche un anno dopo, scoprii di nuovo di essere incinta, senza sospettarlo minimamente, di come fossi preoccupata, dato che la mia situazione sentimentale era piuttosto complicata e difficile in quel momento, ma anche immensamente emozionata e felice per quel regalo inatteso. Di come iniziarono i dolori in sordina, del recarsi quasi per scherzo al pronto soccorso, delle ore interminabili mentre il dolore aumentava, dell’operazione d’urgenza, dell’asportazione della tuba sinistra per gravidanza extra-uterina. Potrei raccontare di come il dolore si lenisce, di come la famiglia, gli amici, i colleghi, mi stettero vicini, mi raccolsero da terra, mi circondarono di affetto e di come le ferite guariscono. Di come iniziai finalmente sul serio, in maniera adulta e insieme ad una persona meravigliosa, il percorso per cercare un figlio, all’inizio fiduciosi e sereni, poi preoccupati, poi l’operazione per rimuovere le aderenze alla tuba destra, il verdetto incerto: “pervietà condizionata” (la tuba è aperta ma non è proprio ben messa, il Luminare Molto Umano consiglia di mettersi in lista d’attesa per la Fivet). La Fivet. La PMA. Qualcosa a cui non pensavo sarei mai arrivata. Le prime due ICSI, andate male. La speranza, la paura, il terrore, l’ansia, la delusione, l’amarezza, la rabbia, mentre tutti intorno a te fanno figli senza problemi. Il-Tempo-Sospeso, quando i mesi passano, le altre restano incinte, fanno figli, restano di nuovo incinte, ecc. e per te il tempo sembra sempre sospeso. Potrei raccontare di tutto questo, ma c’è chi l’ha già fatto meglio di me, per esempio Viola di cui, da quando l’ho letta, mesi fa, mi accompagna la frase che ho riportato in fondo a questa storia.Ora siamo in lista d’attesa in due centri diversi. Prossime scadenze: marzo e giugno 2014. Eppure, io mi porto dentro una maledizione, una “predestinazione”, se vogliamo, perché, leggendo e rileggendo le altre conchiglie, le vostre bellissime storie, in fondo leggo sempre la speranza, la fiducia. Io, in fondo alla mia Storia, leggo solo la predestinazione, il Buio e l’Abisso, perché dentro di me in fondo so e ho sempre saputo che non potrò (più) avere figli. E tutte le “disgrazie” che mi sono successe, i ricoveri in ospedale, le operazioni, i fallimenti, eccetera, tutto in realtà io me l’aspettavo (e mi sento di meritarlo). Per questo ogni tentativo, ogni operazione, mi rendo conto ripensandoci oggi e guardandomi indietro, tutto, altro non sono stati che una conferma di quello che io già so. Che Non Potrò (Più) Avere Figli.Ormai sono passati quasi 10 anni da quel 9 febbraio 2004 quando scientemente (ma non posso dire coscientemente, perché solo dopo mi resi davvero conto di quello che avevo fatto) feci la IVG: Interruzione Volontaria di Gravidanza. Fui troppo debole, troppo impaurita, sicuramente (come poi ho letto di tante altre donne che hanno vissuto questa terribile esperienza) non mi rendevo conto di quello che facevo.Da quel maledetto giorno, OGNI GIORNO (e vi giuro che è proprio così), OGNI GIORNO avrei voluto semplicemente tornare indietro e non fare quello ho fatto. Ero adulta, ero maggiorenne, ero nelle condizioni per poterlo non fare. Fino all’ultimo ho sperato che “lui” venisse a dirmi “ho cambiato idea, non farlo”. Sono stata, semplicemente, una vigliacca. Come sempre, ho avuto troppa paura. Avrei dovuto proteggerlo e difenderlo, amarlo sopra ogni cosa. O, quantomeno, avrei dovuto prestare quella minima attenzione che serve, quando non vuoi un figlio, a non rimanere incinta.Oggi non sono contraria all’aborto, ma quell’embrione, che era solo un embrione, e non lo ritengo nulla di più tutt’oggi, sarebbe diventato mio figlio, si sarebbe chiamato Francesco (nei miei sogni è così: un maschio) e, proprio in questi giorni, avrebbe compiuto 9 anni. Oggi non sono contraria all’aborto, ma ho scoperto, anche documentandomi, di come quasi sempre alla donna che decida di intraprendere questa scelta non venga mai offerta una consulenza psicologica, un consulto, di come nella maggior parte dei casi la donna sia lasciata sola in questo percorso e non si renda conto di quello che sta facendo. Ho scoperto che quasi sempre IVG significa trauma e sindrome post-traumatica. Sono certa che, a fianco di molte donne che realisticamente non possono fare altra scelta (ma potrebbero essere comunque seguite con una terapia di supporto) ce ne sarebbero tante che, se avessero avuto le informazioni e una minima consulenza psicologica, cambierebbero idea, e terrebbero il loro bambino, anche magari dandolo dopo in adozione, sarebbe possibile, sarebbe meglio del portarsi dentro per tutta la vita questo Abisso, questo Buio. E tanti bambini nascerebbero, avrebbero la loro vita, avrebbero la loro possibilità di fare scelte, di vivere, anche di sbagliare. Sbagliare. Ho fatto un grave errore. Ho sbagliato. Come sono leggere queste parole rispetto a ciò che mi sento, a quello che provo. Potessi davvero convincermi che si è trattato solo di un terribile errore, ma solo di questo. Potessi mai, un giorno, perdonarmi.Sono passati anni disperati, mesi in cui davvero ho toccato il fondo, altri meglio. Ma la mia vita si divide ormai tra quel “prima” e quel “dopo”. Il rimorso è enorme, la sofferenza terribile. E io non mi sento degna di poter avere di nuovo questo regalo, questo dono, e, per questo, mi sento ormai predestinata. A volte rido, scherzo. Per qualche giorno, ora, minuto, mi dimentico, vivo spensierata. Poi tutto ritorna, qui, accanto me. Sempre.“Sei di fronte al vetro dove dall’altra parte scorre la tua vita, che ti sembra ora più bella che mai nella sua semplicità e tu dall’altra parte ti sembra solo di poter piangere di non poterci essere. Io in questo preciso momento non ce la faccio ad andare dall’altra parte del vetro ma voi che ci siete, guardatevi intorno, è bellissimo.” (conchiglia di Viola)* * * *Ecco quanto scritto a dicembre 2012Passi il girone dei dannati (dannate più accompagnatore) del day hospital. "Ce la farò", ti dici. E arrivi alla sala prelievi. All'inizio vivevo tutto come una competizione, le statistiche percentuali non mentono, solo il 30%, ogni volta, ce la fa. Ma poi mi son detta: "e allora i malati di tumore?" Anche loro stanno lì a guardarsi l'un l'altro chiedendosi chi sarà tra il 50% che sopravvive al quinto anno, chi apparterrà a quelli che non rispondono alla terapia? Se gli altri ce la fanno, affinché le statistiche siano rispettate, io non ce la farò.Poi mi son detta, basta, questa non è una competizione. Può esserci una "coorte" buona, dove tutte ce la fanno, e un'altra mala, dove nessuna ce la fa. E' poi sui grandi numeri che le leggi statistiche diventano impietose, non sui singoli. Bene. Ho cominciato a guardare diversamente i miei compagni di viaggio. Un viaggio lungo, incerto, faticoso. Doloroso, anche fisicamente, per le donne. Probabilmente a tratti umiliante, per gli uomini. Ho cominciato a pensare al perché di tutta questa sofferenza, quando qui, in realtà, stiamo tutti bene, siamo sanissimi, anzi, più sani probabilmente della media nazionale. Non fumiamo e non beviamo. Cerchiamo di seguire una alimentazione sana e di andare a letto presto. Ci hanno rivoltato come calzini, analizzato sangue, patrimonio genetico, eventuali pericolose mutazioni, ecografati e agoaspirati. Siamo sani come pesci! (che bella questa espressione, mi ricorda il mare d'estate, brulicante del baluginio del sole sulle piccole increspature delle onde).La stessa INPS ci pone in un limbo strano, l'infertilità*, o difficoltà a procreare, non è riconosciuta proprio come una patologia, ma ad essa assimilata per quanto riguarda l'indennità di malattia. Ci circonda un greve muro di imbarazzo e silenzio. Non se ne parla o se ne parla troppo poco. Eppure le liste di attesa sono lunghissime (mesi, anni), segno che le coppie che tentano questa terapia sono molte. Ogni mattina, al controllo ecografico siamo tante, tantissime. Più i compagni.Nessuno ne parla, pochissimi. Solo dopo tempo, chi ce l'ha fatta, sotto voce, come se rivelasse un passato nei servizi segreti o una superata dipendenza da droga/gioco/alcol, ti dice che sai, quel bimbo, alla fine l'hanno avuto così, con la procreazione assistita.Mesi di analisi, di viaggi a Livorno, Roma, Torino, Firenze, Pavia, Genova. Permessi dal lavoro, ansie per l'esito delle analisi, discussioni, ripensamenti, paure, ticket pagati (le code per pagare i ticket, gli schermi coi numeri, A103, C956..), gli amministrativi gentili, gli amministrativi antipatici, le infermiere gentili, le infermiere antipatiche (e pensi che chissà, forse anche lei ci ha provato, e non ci è riuscita, oppure la sua storia d'amore è finita male eppure lavora lì, in mezzo a tante speranze e qualche gioia al 30%). Tutto nascosto, tenuto sotto silenzio, anche ai migliori amici.Non ci è riconosciuta la dignità di malattia. Non siamo malati. Allora cosa siamo? Io sto male, qui tutti stiamo male, e soffriamo. Ma i figli sono considerati una cosa in più, puoi anche vivere senza. Certo, se è una scelta. Posso anche viverne senza? Certo, se non c'è alternativa. Vivi senza tanti piccoli pezzettini di te, che perdi ogni giorno (le persone che muoiono, le cose brutte che ti succedono, le umiliazioni, le cose brutte che succedono agli altri). Posso vivere anche senza questo… Lo sanno tutti. La cosa più difficile, dura, dolorosa, sono le gravidanze degli altri. Non è invidia. E' il non poter condividere la gioia degli altri. Il sentirsi esclusi e il non potersi neanche lamentare troppo. In fondo, che sarà mai, mica hai una malattia grave, stai bene, un uomo che ti ama, un buon lavoro, cari amici, una famiglia intorno. Ma la mia, di famiglia? Non voglio a tutti i costi un figlio (in realtà ne vorrei più d'uno, ma non esageriamo, eh!), ma voglio che la mia sofferenza sia riconosciuta. Voglio che sia riconosciuta la sofferenza di tutti i padri e le madri mancati che, nel corso dei secoli, hanno desiderato una famiglia, dei figli, e non ci sono riusciti. Voglio che scompaia quel minimo sospetto, quel lievissimo biasimo che aleggia intorno a noi, quasi fossimo qui per un capriccio, l'ennesimo di una società consumista. Questo vorrei solo: che sparisse la vergogna, che la sofferenza potesse essere mostrata, con orgoglio, così come merita, qualsiasi sofferenza, non cercata, ma subita, sopportata e alla fine, possibilmente, superata, "elaborata".Ringrazio Paolo Virzì, che con ironia e sensibilità, nel suo film 'Tutti i santi giorni' è riuscito a mostrare la naturalità del desiderio di procreare e la legittimità di accedere alle terapie esistenti. Quello che resta, alla fine di tutto, delle albe gelide, degli esami invasivi, delle code, dei lunghi corridoi degli ospedali, dei macchinari freddi, delle ansie e delle paure, tutto quello che resta, alla fine, sono i piccoli gesti d'amore delle coppie che ho incontrato e sto incontrando in questi giorni. Una strizzatina al ginocchio, uno stringersi di mani, uno sguardo, un piccolo sorriso, e via, verso il futuro, qualunque esso sia. Susanna, 12 dicembre 2012AGGIORNAMENTO DI MARZOLe novità di oggi sono che sono più serena circa l'IVG, forse sto imparando lentamente a confrontarmi con i miei "mostri" e ad accettare come "mie" anche scelte che per anni ho voluto rifiutare, come estranee a me, ma che alla fine mi appartengono e fanno di me quella che sono, nel bene e nel male. Sto facendo anche i conti con la possibilità di non riuscire MAI ad avere dei figli... Anche se non e' più quell'abisso e dolore senza fondo di prima, sono solo all'inizio del cammino: resta una scelta dettata dalla biologia e non dal cuore.  E' più facile razionalizzarla, ma resta come un'amputazione, nello stesso modo razionale e crudo di quelle vere, compiute similmente da medici su lettini di ospedale con l'anestesia, come la FIVET.

Ci sono i tabu' dell'infertilita' e dell'aborto, per certi versi speculari, ma che sempre hanno come campo di battaglia il corpo femminile. Non parlarne amplifica il dolore e impedisce una seria prevenzione, laddove possibile. Questo blog mi ha fatto sentire accolta e protetta, e per questo ti ringrazio.
***Riprendo la parola solo perché la tua conchiglia, Susanna, mi ha fatto pensare a un passo del libro della Mazzantini che ho sottolineato, perché nella sua crudezza mi è arrivato dritto in pancia, vero e duro come un pugno. Lo regalo a te e alle altre, perché riuscire a trovare un senso a tutto questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, è una delle impresa più estreme e difficili che una coppia si trova a dover affrontare. Io non soffro più. Ho già sofferto. Forse mi sento addirittura sollevata. Non sarò mai una madre. Resterò per sempre una ragazza. Invecchierò così, asciutta e sola. Il mio corpo non si sformerà, non si moltiplicherà. Non ci sarà Dio. Non ci sarà raccolto. Non ci sarà Natale. Bisogna cercare nel mondo, nella sua aridità, nelle sue strettoie, il senso della vita... in questi negozi, in questo traffico.(M. Mazzantini - Venuto al mondo)

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