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Un avvertimento prima di discutere lo splendido wuxiapian “Reign of Assassins”, di Su Chao-pin e John Woo, nell'edizione italiana “La congiura della Pietra Nera”: bisogna sapere che il film è uscito in Occidente con dei tagli senza senso apportati dai deficienti americani della Weinstein Company, che detengono i diritti internazionali (quindi non è colpa della sempre meritevole Tucker Film, che cura, con un buon doppiaggio, la distribuzione italiana). La versione cinese - reperibile in dvd con sottotitoli inglesi - è assolutamente superiore; tuttavia, anche l'edizione per le sale occidentali, con alcune scene mancanti e altre abbreviate, è pur sempre grande cinema.
In questo magnifico spettacolo di arti marziali la spietatezza dei colpi si sublima in pura bellezza cinetica; l'eleganza e la precisione dei “voli” ci riportano alla grande lezione di Tsui Hark e, in precedenza, di King Hu. Eppure nell'affascinante balletto marziale non c'è nulla, come diremmo in Occidente, di nietzschiano: ogni colpo porta una responsabilità, ogni colpo fa girare la ruota del karma.
Allo stesso tempo il film è una danza dei sentimenti, non meno spettacolare, e una storia d'amore: prima sommessa, poi via via crescente, fino al calor bianco mélo della conclusione.
Il racconto gira intorno a una reliquia: il corpo mummificato, diviso in due pezzi, di un antico Bodhisattva (un illuminato); si ritiene che se le due parti verranno riunite il corpo assicurerà poteri straordinari al suo possessore. L'organizzazione della Pietra Nera, una specie di mafia dell'epoca Ming, si è impadronita di una delle due metà ma la sua assassina più abile, Shi Liu (o Drizzle a seconda delle versioni), è fuggita portandola con sé. Sul piano narrativo il film si articola in una serie di cerchi concentrici. Entro la caccia a Drizzle e alle due parti della reliquia si iscrive il tentativo di Drizzle (una magistrale Michelle Yeoh) di rifarsi una vita con un nuovo nome e un nuovo volto. E in questo si iscrive la storia d'amore fra la donna, che ora si fa chiamare Zeng Jing, e l'onesto corriere Jiang (Jung Woo-sung). Ma anche lui nasconde qualcosa...
Peraltro anche il memorabile gruppo di villains del film possiede un proprio “cerchio segreto” narrativo. Se l'assassina ninfomane Turquoise (Barbie Hsu), che porta una vivace nota sexy nel film, è pura crudeltà e ambizione scatenata, il Mago (Leon Lai), una figura quasi fantasy, soffre per una vecchia ferita e vorrebbe lasciare l'organizzazione; lo spietato killer Lin Bei (Shawn Yue), che in una scena a sorpresa si rivela tenero padre di famiglia, sogna di farlo anche lui; ma nessuno dei due ha il coraggio di sfidare il capo supremo, il Re della Ruota (riferimento all'aldilà buddhista), interpretato da Wang Xueqi - il quale a sua volta assume nel corso della narrazione un'imprevista complessità. Tutti hanno un loro spazio segreto; ben nascosto sotto i loro misfatti c'è un barbaglio di umanità, che tuttavia non riesce ad elevarsi fino a divenire meritevole del perdono (è loro negata quella “finestra di opportunità” buddhista di cui parla il film). Proprio per questo tutti hanno diritto a un momento di pietà da parte nostra - perfino, nel finale, la sadica Turquoise.
“Reign of Assassins” è un film di mascheramenti, dove nessuno è chi sembra essere; ma l'aspetto più notevole è che nella mente dello spettatore, via via che procede il film, le sorprese e gli svelamenti del plot non si riflettono solo in termini di ridefinizione narrativa (ciò che è ovvio) ma in termini di comprensione delle nuances di recitazione degli interpreti. Per esempio, solo retrospettivamente si capisce la bellezza della prova recitativa di Wang Xueqi.
Sorge inevitabilmente la questione di come distinguere l'apporto dei due registi. Secondo i credits il film è “scritto e diretto” dal taiwanese Su Chao-pin (del quale nel 2003 si è visto al Far East Film di Udine il notevole “Better than Sex”) e “co-diretto” dal produttore John Woo. Sarebbe facile sospettare che l'attribuzione del titolo di co-regista a quest'ultimo, molto più noto, sia dovuta a ragioni di marketing; però va sottolineato che John Woo è sempre stato sul set, dando suggerimenti al collega più giovane (Su è del 1970), e mettendo mano alla direzione delle sequenze d'azione. In ogni modo, bisogna fuggire la tentazione di riconoscere nel film solo il regista che meglio conosciamo: bisogna dare a Su quel che è di Su. Manca in “Reign of Assassins” quell'elemento di astrazione eroica che caratterizza Woo, e che produce l'aspetto “shakespeariano” del suo recente capolavoro “Red Cliff”. In contrasto col cristianesimo nel quale è stato educato Woo, e che si ritrova nella sua imagerie, “Reign of Assassins” è di ispirazione nettamente buddhista. “E' arrivato il momento di affrontare le conseguenze del karma”, dice Michelle Yeoh nel finale: potrebbe essere il motto dell'intero film. Sul piano delle scelte morali, in contrasto con l'idealismo cavalleresco di Woo “Reign of Assassins” si fonda su una sorta di individualismo: i personaggi vorrebbero vivere in pace per se stessi - e sul loro agire precipitano, determinandolo, non obbligazioni d'onore e di fratellanza (yi) bensì le conseguenze karmiche delle loro azioni.
D'altro canto, un tratto assai notevole del film è che, sebbene non sia stato scritto da Woo, possiede come elemento costitutivo un motivo totalmente “wooiano” come quello dell'identità. E' vero che l'ambiguità e le shifting personalities sono molto presenti nel wuxiapian in genere; tuttavia in “Reign of Assassins”, col tema del cambio di faccia attraverso una (terrificante) operazione chirurgica, il riferimento diretto a “Face/Off” di Woo sembra ineludibile.
A Su Chao-pin è sicuramente da ascriversi l'interesse descrittivo, persino intimistico, per la vita della gente comune e il suo quieto fluire (questo è un elemento del film molto penalizzato dai tagli della Weinstein). Fra le righe si insinua un tocco di umorismo ora bizzarro (una rapina in banca al tempo dei Ming!), ora gentile: vedi la la lunga (nell'originale) e divertita sequenza del corteggiamento, dove diventa un tormentone il “Passavo per caso” di Jiang, e dove vediamo delicatamente sorgere l'interesse di Zeng Jing per lui quando lei vede la sua gentilezza verso gli animali e i bambini; una sezione del film che, attraverso l'interpretazione sottilmente espressiva di Michelle Yeoh, rende splendidamente quel momento magico in cui una donna comincia a prendere in considerazione un uomo.
La conclusione del film è alto melodramma amoroso; ma altresì incarna sullo schermo quella capacità di comprensione e perdono (ren) che è una delle qualità proprie del cavaliere combattente (xia) com'è codificato nella tradizione letteraria e poi filmica del wuxia. “Reign of Assassins” la riprende, e con ciò i suoi eroi individualisti sfuggono a qualsiasi tentazione picaresca o revisionista per raggiungere un'alta nota di nobiltà. Questa è classicità pura, naturalmente - e in effetti purezza mi sembra la parola più adatta per definire questo film.
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