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La consolazione del “multiculturalismo”

Creato il 14 gennaio 2016 da Gadilu

Andy Spyra

Fotografia: Andy Spyra, “Exodus” – Christen im Irak

Come molti termini tecnici adoperati approssimativamente, anche la parola “multiculturalismo” non può che dare adito a scontri interpretativi aspri e dunque poco edificanti. La definizione giuridica, che ne restringe l’applicazione a contesti regolati da norme, ci consente di percorrere l’oscillazione che configura le relazioni tra individui o gruppi di diversa cultura in quanto appartenenti a una maggioranza e a una minoranza, in modo che tutti possano interagire con reciproco profitto. Il richiamo all’oscillazione delle relazioni suggerisce che non sempre tale profitto gode di universale riconoscimento, e ciò avviene non appena il contesto multiculturale è letto dal punto di vista dell’“integrazione” (ennesimo termine vago, sfumato e quindi inevitabilmente opinabile).

Nella versione più deludente, una società si definisce multiculturale allorché l’integrazione tra le sue parti maggioritarie e minoritarie è ridotta alla semplice coesistenza dei diversi. Qui abbiamo a che fare con una pluralità di forme di vita scarsamente comunicanti e potenzialmente collidenti in rapporto alle finalità di fondo che dovrebbero garantire la pacifica convivenza. Non c’è bisogno di citare i recenti fatti di Colonia per giudicare con disincanto un tale multiculturalismo. Volendo comunque trovare una soluzione al problema, è indispensabile in primo luogo mettere fuori gioco le due ricette semplicistiche più frequentate: le cose non si aggiusteranno né dando per scontato che l’integrazione sia un processo rapido e privo di dolorosi compromessi, né puntando all’assimilazione completa, senza cioè alcun residuo, delle minoranze nel tessuto civile maggioritario. Nella nostra terra dovremmo essere assai edotti in proposito, anche se la storia si è dimostrata una scuola popolata da allievi non particolarmente brillanti.

Sintetizzando, la costruzione di una società multiculturale virtuosa non potrà mai darsi senza una serie di passi preliminari. I più importanti: evitare di considerare gli individui equivalenti ai gruppi che servono per identificarli, perlopiù molto all’ingrosso; limitare al minimo le opposizioni generalizzanti o le narrazioni prive di verifica empirica; rendere sempre possibili spazi di confronto che contrastino la tendenza automatica alla ghettizzazione e a ritenere l’esclusione l’unica risposta in grado di promuovere pace e sicurezza. Come detto, si tratta di operazioni per nulla scontate, difficili da praticare e, soprattutto, programmaticamente non provviste delle certezze spacciate da chi invece ama raccontare il mondo in bianco e nero. Per consolarci: le alternative sono tutte peggiori.


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