Tutto pare pronto per dare il via ai lavori della Convenzione che dovrà portarci – entro il limite fissato di un anno – a elaborare un aggiornamento dello Statuto di autonomia. Se dovessimo però offrire una fotografia della partenza, fissata per il 16 gennaio, modellandola su quella di una competizione sportiva, non avremmo l’immagine di atleti ben preparati, i muscoli in tiro e visibilmente ansiosi di udire lo sparo dello starter. Al contrario, qualcuno è già chino sui blocchi ma pare sonnecchiare, altri continuano ad aggirarsi per la pista con l’espressione perplessa, per non parlare di quelli che hanno in mente di saltare gli ostacoli procurati dagli scontati problemi che si avvicenderanno con l’illusione di giocarsi un’ulteriore possibilità di pervenire all’autodeterminazione o alla creazione del libero Stato del Sudtirolo.
Un’altra grande incognita riguarda il comportamento del “pubblico”. In teoria la Convenzione nasce come strumento partecipativo, distaccandosi dal classico modello politico fautore di interventi top-down. Per stare ancora alla nostra metafora sportiva, qui al pubblico (cioè ai cittadini) non è soltanto richiesta l’attenzione distante di chi deve comunque rimanere fermo sugli spalti. Mediante un percorso di selezione originato dal cosiddetto “Forum dei 100”, otto cittadini “comuni” avranno l’onore e l’onere di darsi da fare al tavolo dell’organismo (formato complessivamente da 33 persone) per influire in modo decisivo sulle sue deliberazioni. Finora il livello di interesse segnalato non è confortante e c’è da chiedersi se con l’avvio dei lavori la situazione potrà cambiare o se, invece, assisteremo al solito lamento secondo il quale è inutile impegnarsi perché “tanto decidono tutto loro”.
Pur mantenendo un atteggiamento non negativamente pregiudiziale, alla vigilia di un momento così importante sono comunque almeno due le perplessità di fondo che offuscano l’orizzonte. La prima riguarda la tendenza prevalentemente difensiva esibita spesso nel contesto delle più recenti riflessioni sull’autonomia. Certamente l’autonomia deve essere “difesa”, ma se ciò significa chiudersi e arrendersi in linea di principio a qualsiasi ipotesi di vero cambiamento è scontato che poi giungeranno esiti appena percettibili. La seconda riguarda la partecipazione dei cittadini di lingua italiana, tendenzialmente più passivi, sfiduciati e disinteressati a ragionare sui temi istituzionali di portata locale. Senza un decisivo contributo “italiano” la Convenzione si tramuterebbe però in un fallimento di tutti: anche dei “tedeschi”, i quali non sempre si sono dimostrati consapevoli di tale problema.
Corriere dell’Alto Adige, 9 gennaio 2015 – Pubblicato col titolo: La Convenzione degli italiani.