Il programma sarà attuato in varie fasi. La prima è una campagna nazionale per la lotta alla violenza sulle donne, co-finanziata dal Ministero palestinese degli Affari delle Donne e dallo Strategic Plan for Combating VAW 2011-19.[1] Il programma costituisce una “buona prassi” all’interno della Cross-Sectoral National Gender Strategy, [2] e ha raccolto l’interesse dell’Unione Europea sull’importanza di combattere la violenza di genere.
La Cooperazione si è attivata anche nella tutela dei minori. I bambini palestinesi nascono e vivono in una situazione drammatica, con pesanti conseguenze sul fronte psicologico e giuridico. Pertanto hanno bisogno di protezione da parte della comunità internazionale. Inoltre la Cooperazione ha stanziato una linea di credito di 25 milioni di euro gestita dal Ministero delle Finanze locale. Tramite quattro banche private palestinesi appositamente selezionate, essa permetterà l’erogazione di prestiti agevolati alle piccole e medie imprese della West Bank e di Gaza, in particolare nel settore dell’agricoltura e quelli collegati, al fine di consentire l’importazione di tecnologie italiane.
Mentre la situazione nella West Bank è migliorata, a Gaza si risente ancora pesantemente l’eco degli sconvolgimenti causati dalla “primavera araba”: mancano gli investimenti stranieri, l’agricoltura è in forte calo e la base produttiva è stata distrutta a causa del regime di chiusura imposto da Israele. La situazione umanitaria è molto grave, quindi gli aiuti ricevuti sono soprattutto rivolti a tamponare l’emergenza. La Cooperazione Italiana cerca di riempire questo gap in primis grazie al permesso di esportare i prodotti palestinesi in Europa.
Nell’ultimo biennio secondo l’International Monetary Fund l’economia palestinese nel complesso è cresciuta del 9%, mentre il tasso di disoccupazione nella West Bank è pari al 38% (solo pochi anni fa secondo IMF e Banca Mondiale superava il 70%)[3]. Il progetto prevede infine progetti di microcredito, a difesa delle piccole economie locali palestinesi, che si propongono di favorire lo sviluppo umano ed economico.
La letteratura in tema di benessere sociale e di diritti umani è ricca. Luigino Bruni, professore di Economia a Milano Bicocca, sostiene che povertà e mancanza di diritti sono, in qualche modo, situazioni che si equivalgono o sono reciprocamente causa ed effetto. Secondo Muhammad Yunus, economista bengalese e premio Nobel, “la povertà determina nella società una condizione che nega non solo alcuni, ma proprio tutti i diritti umani. Il povero non conosce diritti”.[4] Ancora, il rapporto UNDP del 2000 sullo sviluppo umano era dedicato ai diritti umani e allo stretto legame fra questi e lo sviluppo. Ampliamento delle capacità personali e perseguimento della piena libertà e dignità sono, rispettivamente, gli obiettivi delle due azioni. “Gli indicatori dello sviluppo accertano l’ampliamento delle capacità personali. Gli indicatori dei diritti umani, viceversa, devono valutare se le persone vivono in dignità e in libertà”.[5] Non v’era dubbio quindi, secondo il Rapporto, che “un approccio maggiormente integrato” potesse dare buoni risultati, “in pratica facilitando gli sforzi comuni per il progresso della dignità, del benessere e delle libertà individuali in generale”.[6]
[1] Vedi www.unwomen.org.
[2] E’ il documento del 2011 delle Nazioni Unite che indica al governo palestinese i modi per includere le questioni di genere nell’Agenda nazionale e sostenere l’attuazione del Piano Strategico Palestinese 2011-13.
[3]IFM-WB, West Bank and Gaza: Economic Developments in 2006- A first Assessment, 2007, su www.imf.org.
[4] Yunus M. (1998), Il banchiere dei poveri, Milano, Feltrinelli, p. 20.
[5] UNDP, Human Development Report 2000, New York, p.107.
[6] Ivi, p.35.