Venti anni di buone intenzioni. Il 26 giugno, a Istanbul, la cooperazione istituzionale nella regione del mar Nero – dal 1999 nella forma dell’Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero – ha festeggiato il suo secondo decennio di vita in un vertice tra i capi di stato e di governo dei 12 paesi che ne fanno parte, più osservatori vari (tra cui l’Unione europea, che sostiene lo sviluppo nell’area attraverso la “Sinergia del mar Nero”): con la defezione scontata del presidente dell’Armenia e quella politicamente più sorprendente – uno sgarbo per i contrasti tra Turchia e Russia sulla Siria? – di Vladimir Putin. Venti anni fa, all’indomani della dissoluzione dell’Unione sovietica e della nascita di nuovi stati e di spinosi problemi politici (tra tutti, la guerra tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh oggi solo congelata), l’iniziativa fu dell’allora presidente turco Turgut Özal, sensibile al risveglio geopolitico del suo paese: creare forme avanzate di solidarietà regionale attraverso progetti economici sostenibili e condivisi, una base comune per affrontare congiuntamente i fattori d’instabilità dal separatismo al terrorismo, dalla povertà all’inquinamento. “Pace e stabilità attraverso la cooperazione economica”: questa la formula utilizzata nella dichiarazione di Istanbul del 25 giugno 1992.
Nonostante la dichiarazione finale del vertice di venti anni dopo affermi il contrario, i risultati conseguiti finora sono modesti: nessun progetto infrastrutturale portato a termine, neanche quelli a cui nel 2007 è stata formalmente data la massima priorità come l’autostrada circolare di 7700 chilometri attorno al mar Nero o la rete di collegamenti merci e passeggeri attraverso il mar Nero; nessuna ricaduta benefica sul piano politico: e anzi, fonti diplomatiche – e domande impertinenti in conferenza stampa – hanno rivelato anche durante la riunione sul Bosforo schermaglie mediate a fatica tra Azerbaigian e Armenia, i cui rapporti burrascosi hanno pessime ricadute su quelli tra Yerevan e Ankara, non ancora normalizzati (la frontiera rimane chiusa). In compenso, la Turchia – presidente semestrale di turno dal 1° luglio – ha puntato tutto sull’approvazione di un secondo documento: un’agenda economica – Vision 2020 – che tratteggia però in modo eccessivamente dettagliato e poco credibile i passi in avanti da fare in termini di funzionalità e visibilità dell’organizzazione, di commercio e investimenti su base regionale, di ambiziosi progetti nel campo dell’energia, della comunicazione, della scienza e della tecnologia, del turismo e della formazione. L’obiettivo, come ha affermato il presidente Abdullah Gül, è di “sfruttare al meglio le ricche risorse umane e naturali della regione, sulla base dello sviluppo sostenibile e di una cooperazione più funzionale”; solo buone intenzioni: perché i fondi messi a disposizione dai singoli membri su base volontaria continuano a latitare.
Un risultato storico è stato in effetti raggiunto, ma in separata sede e quasi a oscurare i lavori del summit: nell’ufficio del primo ministro nel poco lontano palazzo ottomano di Dolmabahçe, infatti, il presidente azero Ilham Aliyev e Recep Tayyip Erdoğan hanno firmato il trattato che dà vita alla Trans-Anatolian Pipeline (Tanap) per il trasporto del gas naturale del Caspio – del gigantesco giacimento Shah Deniz – in Europa, oltre all’accordo commerciale che ne regola la futura gestione. Già in occasione del Consiglio di cooperazione strategica turco-azero di Izmir, il 25 e 26 ottobre dello scorso anno, era stato siglato un primo documento preliminare: ma quello definitivo – apparentemente per contrasti sul management del progetto – ha tardato ad arrivare; i problemi sono però stati superati, il presidente della compagnia petrolifera azera Socar, Rövnag Abdullayev, ha rivelato alla stampa tutti i dettagli: il gasdotto verrà costruito e poi gestito da un consorzio tra la Socar (80%) e le turche Botaş e Tpao (10% ognuna); il tracciato attraverserà – dopo aver lasciato il territorio azero – prima la Georgia e poi la Turchia da est a ovest, fino al confine con la Grecia e la Bulgaria; l’investimento complessivo sarà di 7 miliardi di dollari e la prima fase del progetto verrà completata nel 2018; la capacità passerà – attraverso 4 fasi – da 10 miliardi di metri cubi all’anno nel 2020 a 31 nel 2026 (in parte venduto in Turchia, in parte in Europa): ma potrà essere portata in futuro fino a 50- 60 miliardi di metri cubi, così da poter trasportare gas proveniente da ulteriori giacimenti azeri o dal Turkmenistan.
L’atto ufficiale di nascita della Tanap equivale a un certificato di morte per il Nabucco: il gasdotto di 4000 chilometri – sponsorizzato dall’Unione europea e inserito nella lista dei Trans-European Networks – che il gas dello Shah Deniz avrebbe dovuto portarlo fino in Austria dopo esser passato anche per Bulgaria, Romania e Ungheria, di fatto accantonato per le difficoltà logistiche e i costi proibitivi: come ha spiegato con compiacimento il premier Erdoğan dopo la cerimonia , “il Tanap è un progetto che appartiene solo ai nostri due stati”. Ma il gasdotto trans-anatolico, nei fatti, rende però possibile un Nabucco in forma ridotta, il Nabucco ovest: un progetto meno ambizioso, 1300 chilometri dal confine bulgaro all’hub di Baumgarten nei pressi di Vienna, accettato due giorni dopo l’ufficializzazione della Tanap dal consorzio per lo sviluppo dello Shah Deniz come possibile via di trasporto (è stata invece eliminata dalla competizione la South-East Europe Pipeline – Seep – proposta dalla British Petroleum).
La decisione definitiva su come collegare la Tanap all’Europa verrà presa solo nel 2013: scegliendo tra il Nabucco ovest verso l’Europa orientale che sembra il super-favorito e il gasdotto trans-adriatico (Trans-Adriatic Pipeline, Tap), 500 chilometri da Komotini nella Tracia greca a Brindisi – attraverso l’Albania e il mar Adriatico – con una portata di 20 milioni di metri cubi all’anno. Le stesse autorità europee, con in testa il commissario per l’energia Günther Oettinger, hanno pubblicamente apprezzato questa doppia opzione Tanap-Nabucco ovest – pur senza esprimere preferenze tra Nabucco ovest e Tap – come primo e concreto elemento del “corridoio meridionale” per il trasporto di fonti energetiche, merci e persone; e non è un caso se, il 14 giugno a Stoccarda (città natale e feudo politico di Oettinger), l’Ue e la Turchia hanno lanciato la “cooperazione rafforzata” in campo energetico che ha come primo e principale punto proprio le pipelines trans-europee. La grande sconfitta è invece la Russia, che vede in prospettiva attenuarsi il suo monopolio energetico sull’Europa (il premier turco ha espressamente parlato di “indipendenza energetica dell’Europa”): è forse questa la reale ragione – al di là della questione siriana – dell’assenza di Putin al vertice dell’Organizzazione della cooperazione economica del mar Nero a Istanbul, proprio nel giorno in cui Turchia e Azerbaigian hanno dato vita alla Tanap?