La correlazione tra cultura e violenza – HEINRICH POPITZ

Creato il 29 ottobre 2013 da Thoth @thoth14

Si può accettare la violenza? Si può capire la violenza? La violenza sui minori, sulle donne, sugli animali, sui più deboli e sui più indifesi, la violenza razziale. Si può dare una risposta a queste domande? La violenza si veste di una “forma di comunicazione” caratterizzata da un rapporto di forze asimmetrico. Il non riconoscere l’altro come proprio simile è funzionale al fatto che la violenza possa compiersi, si costruisce cioè simbolicamente una differenza perché la violenza possa esprimersi. In fondo, la violenza è legata alla formazione e alla difesa dell’identità: la distruzione dell’altro avviene quasi sempre in funzione della preservazione della mia identità, in quanto la diversità dell’altro danneggia la mia stabilità esistenziale. La violenza che si manifesta nell’abuso e nello sfruttamento delle persone è collegata alla forma relazionale del potere e ne rappresenta, in un certo senso, una degenerazione o estremizzazione. La forma sessuale dello stupro, dell’induzione in schiavitù per fini di prostituzione o di abuso di minori, il maltrattamento di animali possono essere ritenuti una terribile esperienza coercitiva di potere sull’altro, espressione che ha bisogno della violenza sia come presupposto, per costringere l’altro ai propri voleri, sia come componente per la sua soddisfazione. La violenza sessuale poi è lo strumento principale per dominare, annullare, plagiare l’identità dell’altro per asservirlo ai propri scopi. Il sociologo tedesco Heinrich Popitz (1925 – 2002) nel suo saggio più famoso FENOMENOLOGIA DEL POTERE ha individuato alcuni elementi spesso presenti nei casi di violenza, i quali permettono di esprimere la violenza senza alcun senso di colpa. Essi sono: l’esaltazione, la disumanizzazione, l’indifferenza e la tecnicizzazione della violenza. Vediamoli uno per uno.

Esaltazione: facilita le espressioni e le giustificazioni della violenza. E’ piuttosto forte quando è connessa al gruppo, con spettatori. In tal caso si realizza una sorta di distribuzione delle responsabilità: “Se lo fanno tutti la colpa non è soltanto mia”.

Disumanizzazione della vittima: nello stupro di gruppo e nelle forme di sadismo sui minori e sugli animali la vittima è solo un oggetto sul quale scaricare ogni tipo di istinto e di bestialità.

Indifferenza emotiva nei confronti della vittima: i pianti, le implorazioni, i lamenti, la sofferenza, il dolore delle vittime sono irrilevanti. Si oscilla allora tra il piacere di sentirli, perché esaltano e confermano l’immagine della propria onnipotenza, e il disprezzo di chi li subisce.

Tecnicizzazione: nell’abuso e nel traffico di minori e di animali esotici è costituita dalla rete a maglie fitte di collaborazioni internazionali e di supporti finanziari che le mafie dei vari paesi sono riuscite a utilizzare e in parte a costruire. Se la violenza si sviluppa con la technè, si riscontra come la società contemporanea riesca a moltiplicare i mezzi per diffonderla e renderla sistematica, puntuale, di massa, finalizzata alla produzione e all’arricchimento poichè non esiste, infatti, un limite alla violenza praticabile come estremizzazione di potere all’interno dei rapporti umani inter – relazionali. Purtroppo essa varia quanto l’immaginazione umana. Il solo limite possibile è quello della morte della vittima, che mette fine alla relazione di violenza.

La crisi globale della società contemporanea sta aprendo, perciò, nuovi spazi alla violenza per una ridefinizione di valori della società nello specifico, crisi di certo della razionalità che sostiene l’effimero, l’edonismo e la banalità mentre sottovaluta, umilia e deride tutto ciò che è impegno e implicazione di responsabilità. Siamo forse dinnanzi a una diversa concezione dell’uomo – quella del sè stesso come prassi – e, di conseguenza, di un valore diverso: il sè stesso come potere. L’odierna società del gratuito, delle apparenze e dell’immagine si sostituisce alla società delle persone. A plasmare e a ridefinire le aspettative, gli orientamenti e i valori che l’uomo dovrebbe adottare sono i promotori del consumo attraverso i mass – media, poichè esiste una correlazione tra cultura e violenza: se mutano i paradigmi culturali, la violenza si modifica e può aumentare o sparire del tutto. La violenza è, alla fin fine, una manifestazione della cultura che domina un determinato momento storico. A tale riguardo, si può addurre l’esempio dei combattenti di KENDO, antica arte marziale praticata nel Giappone dei Samurai, scontro la cui violenza era regolata da un preciso codice (anche quando il duello aveva l’intenzione di uccidere l’avversario) che mirava a contenere il più possibile l’aggressività produttrice di violenza gratuita. Sarebbe alquanto utopistico pensare e cercare di attuare nelle nostre culture, spesso insane, a questo proposito, un qualcosa di simile, il quale riesca almeno a diminuire tutta l’irrazionalità della loro violenza?

Francesca  Rita  Rombolà


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