Un’aurora in Groenlandia nell’agosto 2013. Crediti: GLORIA Project
Per la maggior parte del tempo la magnetosfera terrestre agisce come uno scudo che ci protegge da una buona dose di particelle cariche, raggi cosmici e di varia attività solare ad alta energia con la quale altrimenti dovremmo avere quotidianamente a che fare. Ogni tanto però qualcosa sfugge a questa nostra difesa spaziale.
Durante le turbolenti attività dei campi magnetici può succedere che due linee di campo che puntano in direzioni opposte si incrocino, si rompano spontaneamente e si ricompongano stabilendo un contatto con altri “pezzi” di linee di campo, con conseguente liberazione di energia. È il processo noto sotto il nome di riconnessione magnetica, ed è alla base, per esempio, dei brillamenti solari e delle espulsioni di massa coronale.Sulla Terra la riconnessione magnetica è responsabile delle aurore (oltre che della saltuaria interruzione dei segnali GPS). È infatti proprio a causa di questo processo che il plasma del vento solare riesce a penetrare dentro la magnetosfera e depositare particelle cariche nell’alta atmosfera.
Ma il “sistema Terra” sembrerebbe essere dotato di nuovi e finora sconosciuti anticorpi contro l’attività solare, capaci di smorzare anche gli effetti della riconnessione magnetica e tenere a bada l’energia solare in arrivo. Un team di scienziati del MIT e della NASA ha infatti osservato una sorta di pennacchio di particelle di plasma di bassa energia che viaggia a cavallo delle linee di campo magnetico terrestre e che si estende dalla bassa atmosfera fino al punto in cui, a decine di migliaia di chilometri più su, il campo magnetico del nostro pianeta incontra quello del Sole. Ed è proprio in questa regione, in questo punto di contatto, che la presenza di questo vento di plasma freddo e denso rallenterebbe la riconnessione magnetica , smorzando gli effetti del Sole sulla Terra.“Questo plasma freddo e ad alta densità cambia ogni processo di fisica del plasma con cui viene in contatto”, dice John Foster, direttore dell’Osservatorio Haystack del MIT. “Rallenta la riconnessione, e può contribuire alla generazione di onde che, a sua volta, accelerano le particelle in altre parti della magnetosfera in un processo di ricircolo”.
Foster paragona questo fenomeno a un “fiume di particelle”, e aggiunge che il meccanismo generale non è poi dissimile a una sorta di corrente del Golfo su scala atmosferica che crea venti di gas che “fluiscono attraverso un enorme sistema di circolazione”.
Foster e colleghi hanno pubblicato i loro risultati sull’ultimo numero di Science. Il team si è avvalso sia di misurazioni da Terra, che hanno permesso una mappatura bidimensionale dei processi nella magnetosfera, sia delle rilevazioni della ionosfera fornite dai satelliti NASA che studiano le aurore e che hanno dato tridimensionalità alla mappatura.
Le osservazioni di quelli che nel paper vengono chiamati “plasmaspheric plumes” (letteralmente pennacchi plasmasferici, proprio perché interessano la plasmasfera, ovvero la parte di magnetosfera più interna), sono parte di una serie di nuove scoperte che sta andando man mano a definire sempre meglio i processi che pendono vita attorno al (e a causa del) campo magnetico terrestre, e che conosciamo ancora poco. “Quello che questo tipo di studi sta mostrando è proprio quanto sia dinamico l’intero sistema”, conclude Foster.
Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli