La corsa alle armi in Medio Oriente

Creato il 04 giugno 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

La spesa militare mondiale ha raggiunto nel 2011 la cifra record di 1.740 miliardi di dollari (+0,3% rispetto al 2010), un importo che rappresenta circa il 2,6% del PIL globale. Questi sono alcuni dei dati recentemente diffusi dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) e dall’International Institute for Strategic Studies (ILSS), i quali con i loro Report annuali monitorano lo stato di salute delle industrie militari nazionali e del business sempre fiorente del commercio di armi.

Il contesto internazionale e il mercato globale delle armi

La forte crisi economico-finanziaria internazionale sta costringendo numerosi attori internazionali a dover rivedere le proprie stime in materia di sicurezza e difesa. Stati Uniti, Germania, Brasile, Francia e Regno Unito – alcuni tra i Paesi con la più alta spesa militare al mondo – hanno effettuato nel 2011 dei profondi tagli ai propri budget nazionali di difesa al fine di stabilizzare i deficit di bilancio e di meglio riqualificare le risorse interne nel settore sicurezza. Nel frattempo, invece, altre nazioni del calibro di Russia, Cina, Iran e Israele hanno aumentato considerevolmente i propri investimenti nel settore in questione e hanno intenzione di incrementarli anche nei prossimi anni.

In un periodo di grande crisi economica a livello globale, l’unico mercato che non sembra conoscere alcuna sorta di problema sembra proprio quello delle armi. La crisi finanziaria in atto provoca effetti controversi. Se da un lato diversi Paesi adottano misure di austerity con riferimento ai propri budget nazionali di difesa, dall’altro lato la crisi non limita l’attività dell’industria militare: nel 2010 le cento maggiori aziende del settore hanno aumentato il fatturato dell’1% rispetto all’anno precedente, ma del 60% rispetto al 2002, questo favorito anche dal forte aumento mondiale delle esportazioni di armi (+5,28% rispetto al 2010), soprattutto verso i Paesi dell’Asia centrale e del Medio Oriente. Stati Uniti e Paesi europei sono coloro che più hanno tagliato le spese militari, cercando di compensare la caduta di ordini con nuovi contratti di fornitura verso questi Paesi.

Spesa militare mondiale - Fonte: SIPRI

Secondo un rapporto di Amnesty International dell’ottobre 2011, i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente sono stati i maggiori acquirenti di armi ed, in particolare, di armi di produzione italiana. Grazie a tale business la nostra industria di settore è riuscita ad incrementare la propria produzione nazionale del 24,03% nel solo 2011. Oltre all’Italia, tra i maggiori venditori mondiali di armi vi sono anche Francia, Germania, Regno Unito, Russia e USA.

In particolare, lo studio diffuso poche settimane fa dal SIPRI rileva che, nel periodo 2007-2011, la regione dell’Asia-Pacifico guida la classifica mondiale delle importazioni di armamenti con il 44%, a seguire l’Europa con il 19%, il Medio Oriente con il 17%, le Americhe con l’11% e, infine, l’Africa con il 9%. Sempre nello stesso periodo di riferimento, l’India è diventato il primo importatore mondiale di armamenti (10%) – con la possibilità concreta di raggiungere il 17% del proprio PIL nel biennio 2012/2013 – seguita dalla Corea del Sud (6%), Pakistan e Cina (5%) e Singapore (4%).

La corsa agli armamenti in Medio Oriente

L’esponenziale crescita delle spese legate alla difesa e alla sicurezza che ha recentemente coinvolto i principali players internazionali non ha lasciato dunque indifferente nemmeno i Paesi della regione mediorientale. D’altra parte dall’inizio degli anni Settanta, la regione MENA per quanto riguarda le esportazioni di armi ha sempre rappresentato il mercato più florido e importante al mondo. Infatti, secondo i dati rilevati dal SIPRI, tra i primi quindici importatori di armi al mondo ben sei appartengono all’area mediorientale: Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Israele e Kuwait.

Spesa militare Medio Oriente - Fonte: IISS

Come rilevato da SIPRI e ILSS, la crescita esponenziale del settore difesa e sicurezza in Medio Oriente ha visto un deciso aumento soprattutto nel decennio post-11 settembre (2001-2010), durante il quale le spese militari sono aumentate da 78,2 a 110 miliardi di euro, con in testa Paesi quali Arabia Saudita, Iraq e Libano, i quali hanno destinato nel settore oltre il 10% del proprio PIL nazionale (in questo link la classifica dei Paesi MENA che più hanno investito nella spesa militare).

Sempre secondo i due think thank, i motivi che hanno portato ad una sorta di corsa al riarmo nella macroregione MENA (Middle East & North Africa) – ed in particolare nei Paesi dell’area Golfo – sono molteplici:

- innanzitutto, il fenomeno delle Primavere Arabe;

- in secondo luogo, il pericolo regionale iraniano e la corsa al nucleare civile e militare;

- infine, le tensioni etniche, religiose e settarie che caratterizzano numerosi Stati della regione (Libano, Iraq, Siria, Yemen, etc..).

A conferma dei dati pubblicati dai due centri, lo studio condotto da Al-Masah Capital, e ripreso dal quotidiano saudita Arabian Business, prospetta nei prossimi tre anni un notevole incremento della spesa militare soprattutto dei Paesi mediorientali: la loro spesa militare dovrebbe aumentare di 118,2 miliardi di dollari giornalieri con l’obiettivo di frenare, da un lato, le proteste di piazza che seguono la Primavera Araba e, dall’altro, nel caso delle petro-monarchie del Golfo, di arginare un’eventuale militarizzazione della regione da parte iraniana.

I dati evidenziano come la spesa militare della macroregione MENA rappresenti una percentuale altissima del PIL. Infatti, se la media mondiale tra il 2001 e il 2010 è del 2,6%, quella dei Paesi MENA è del 5,5%. Tra gli Stati più attivi troviamo Iraq, Libano e le quattro petro-monarchie del Golfo: Arabia Saudita, EAU, Oman e Kuwait. Questi Stati per meglio ammodernare il loro apparato di difesa, per rispondere alle necessità strategiche della regione del Golfo e al pericolo settario in parte fomentato dalla retorica iraniana, hanno già previsto una spesa militare nei prossimi quattro anni pari a circa 123 miliardi di dollari.

In particolare, Arabia Saudita ed EAU hanno siglato tra il 2011 e il 2012 importanti contratti miliardari (circa 30 miliardi di dollari) con la Lockeed Martin e con altre industrie belliche statunitensi: Riyadh ha sottoscritto un accordo per l’acquisto di 15 F-15 Silent Eagle, più l’aggiornamento di altri 70 F-15 già in dotazione all’aeronautica saudita, 70 elicotteri d’attacco Apache, 72 elicotteri Black Hawk e 36 Little Bird e pare esserci in previsione anche un aggiornamento dei dispositivi di difesa missilistica nazionale. Abu Dhabi, invece, ha investito molte risorse per comprare il sofisticato sistema di difesa missilistica aerea statunitense THAAD (Terminal High Altitude Area Defense).

Anche le monarchie di Oman e Kuwait non hanno lesinato risorse del proprio PIL per ammodernare la difesa: infatti, Mascate ha previsto una spesa intorno ai 12 miliardi di dollari per ammodernare la propria aviazione militare e l’acquisto di 18 nuovi F-16; Kuwait City dal canto suo investirà 7 miliardi di dollari per l’aggiornamento della propria componente aerea e dei propri sistemi Patriot e per l’acquisto di un nuovo centro di comando e controllo radar.

I perché della corsa agli armamenti

Il montare delle tensioni derivate dal controverso programma nucleare iraniano e dalle rivolte in Egitto, Tunisia, Libia e da quelle ancora in corso in Siria, Bahrain e Yemen hanno innescato, dunque, una straordinaria corsa agli armamenti ed un crescente interesse per l’acquisizione di sofisticate tecnologie militari in tutto il Medio Oriente e, in particolare, nella regione del Golfo.

Gli equilibri geopolitici regionali non risentono soltanto delle tensioni etnico-settarie che da sempre caratterizzano la macroregione MENA, ma anche e soprattutto dalle strategie di diversificazione e approvvigionamento energetico. Infatti, il “dossier Iran” risulta essere percepito in tutta l’area mediorientale il principale motivo di instabilità per la regione, capace di innescare questa straordinaria corsa agli armamenti.

La strategia di investimenti militari promossa soprattutto dai Paesi del Golfo risiede di fatti innanzitutto nella volontà delle petro-monarchie di controbilanciare la minaccia iraniana. Si tratta evidentemente di un messaggio chiaro all’Iran, un segnale che dimostra come la regione possa subire possibili risvolti inaspettati, un campanello d’allarme che Teheran – ma anche il mondo intero – non può sottovalutare.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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