Non c’é pregiudizio all’adozione da parte di coppie omosessuali quando non è a rischio il corretto sviluppo del minore: questo in sintesi è quanto stabilito dalla prima sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza 601/2013 respingendo il ricorso di un immigrato musulmano che ora vive a Brescia.
L’uomo, 27 anni, aveva avuto una relazione con una donna italiana e da questo rapporto era nato un figlio. Finita la storia tra i due era stato disposto l’affidamento esclusivo del bambino alla madre mentre gli incontri con in padre si sarebbero tenuti «con cadenza almeno quindicinale in un ambiente neutro e inizialmente protetto».
L’uomo invece insisteva per l’affidamento condiviso del bambino paventando «le ripercussioni sul piano educativo e della crescita del medesimo derivanti dal fatto che la madre, ex tossicodipendente, aveva una relazione sentimentale e conviveva con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata ospitata». La Corte d’appello aveva respinto tali motivazioni «non essendo specificato quali fossero le paventate ripercussioni negative per il bambino». Inoltre il minore «aveva assistito a un’episodio di violenza agita dal padre ai danni della convivente della madre, che aveva provocato in lui un sentimento di rabbia nei confronti del genitore» e la Corte d’appello aveva giudicato come «irrilevante» il fatto che «la violenza non avesse avuto ad oggetto la madre» ma la sua convivente che è stata considerata pur sempre «una persona familiare al bambino» riconoscendo quindi il ruolo della convivente della madre per lo sviluppo del minore.
L’uomo ha quindi fatto ricorso in Cassazione adducendo il diritto del bambino «ad essere educato nell’ambito di una famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio».
La Suprema Corte, presieduta dal giudice Maria Gabriella Luccioli, ha respinto il ricorso del padre affermando che «alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pre-giudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale». Infatti secondo la Cassazione «si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità dì quel contesto familiare per il bambino».
Sebbene la sentenza della Suprema Corte si riferisca ad una situazione particolare diventa giurisprudenza un principio molto chiaro: non esiste nessuna evidenza scientifica che crescere in una famiglia omosessuale sia dannoso per lo sviluppo del bambino.
A questa sentenza non sono mancate le reazioni del mondo cattolico. Il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire titola «Figli alle coppie gay? Sentenza pericolosa» domandandosi: «Cosa augurare a questo bambino? Di restare a vivere con la mamma e con la compagna della mamma – così come ha stabilito la Corte di Cassazione – o di venir affidato al papà violento che se n’è andato quando il figlio aveva dieci mesi, rinunciando a vederlo e a educarlo?». Ad ognuno di noi la risposta se è meglio essere cresciuti da una coppia dello stesso sesso o da un padre violento.
L’organo della Cei non critica apertamente la decisione dei giudici e scrive di una scelta «a favore del male minore». Sempre sul giornale dei vescovi interviene il pedagogista Simeone secondo cui «il fenomeno delle coppie omoparentali è relativamente recente». Bisogna evidenziare che bambini ed adolescenti con genitori omosessuali sono già una realtà in Italia. Una ricerca realizzata nel 2005 da Arcigay e dall’Istituto superiore di sanità stimava in 100mila i bambini e ragazzi italiani con almeno un genitore omosessuale: considerando anche i genitori si otterrebbe la popolazione di una città come Venezia. Essendo la ricerca del 2005 questa stima oggi sarà di certo superiore: molte di queste famiglie sono riunite nell’associazione “Famiglie Arcobaleno”. Sempre Simeone afferma che «molti studi mettono in guardia sulle difficoltà che i bambini che crescono con persone dello stesso sesso possono incontrare» sebbene poi sembra quasi contraddirsi affermando la necessità dal punto di vista scientifico di «approfondire le conoscenze del fenomeno in modo rigoroso, guardando la questione dal punto di vista del bambino e dei sui bisogni». Bisogna precisare che al momento l’unico studio sui problemi dei bambini che crescono con persone dello stesso sesso è stato realizzato dal sociologo dell’università del Texas Mark Regnerus: tale ricerca è stata sconfessata dalla comunità scientifica, dal comitato editoriale della rivista presso cui era stato pubblicato lo studio ed alla fine lo stesso ricercatore ha ammesso i propri errori.
Nella stampa cattolica permane comunque una grande confusione in merito alla sentenza. Sempre su Avvenire Carlo Cardia sostiene che la Cassazione ha stabilito che sia un «mero pregiudizio» essere curato ed allevato da entrambi i genitori. La Suprema Corte (come i precedenti tribunali) invece non ha stabilito nulla di tutto questo: davanti ad un padre violento ha deciso che non fosse consigliabile l’affidamento congiunto ma il padre potrà sempre esercitare il suo ruolo sul figlio con incontri almeno quindicinali.
Sempre Cardia scrive che il bambino «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre». A tal proposito invece l’Associazione italiana di psicologia ricorda che «le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui» ed inoltre «non sono né il numero né il genere dei genitori – adottivi o no che siano – a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano».
Su Tempi Luigi Amicone scrive che «anche in Italia viene rimosso l’ostacolo all’adozione di bambini da parte delle coppie gay»: la decisione della Suprema Corte non riguarda affatto l’adozione da parte delle coppie gay (impossibile in Italia mancando una legge in tal senso) ed infatti il bambino in questione non è stato adottato dalla convivente della madre ed il padre continuerà ad esercitarne la potestà.
Non è da enfatizzare neanche il ruolo della Cassazione che, come ricorda Carlo Rimini, ordinario di diritto privato all’università di Milano, su La Stampa, «non ha il compito di ricostruire i fatti, ma solo quello di interpretare il diritto e applicarlo ai fatti già accertati nei precedenti gradi del giudizio». Sempre Carlo Rimini sottolinea che «Il giudice valuta solo l’interesse del bambino sulla base dei fatti e cerca di proteggerlo da ciò che può compromettere la sua serenità. L’unica cosa che è apparsa sicura al giudice è che un padre rabbioso che alza le mani contro una donna di fronte a suo figlio non è un genitore idoneo. La convivenza omosessuale della madre non è in sé rilevante, sino a che non si traduce in comportamenti dannosi per il bambino. Lo stesso principio era già stato affermato dal tribunale di Napoli nel 2006 e dal tribunale di Bologna nel 2008». Inoltre «nel nostro ordinamento, l’accertamento dell’interesse del minore è una valutazione dei fatti riservata ai giudici di primo e di secondo grado, la cui valutazione non può essere modificata dalla Cassazione» e quindi la sentenza della Suprema Corte era scontata ed addirittura la madre aveva rinunciato a difendersi.
Ovviamente, nel dibattito esistente sui diritti degli omosessuali, resta il peso delle parole della Cassazione che, nero su bianco, ha definito come «mero pregiudizio» il rischio di essere allevato da una coppia omosessuale.
Magazine Attualità
La Corte di Cassazione: “Non è dannoso crescere in una coppia omosessuale”.
Creato il 12 gennaio 2013 da Cagliostro @Cagliostro1743Possono interessarti anche questi articoli :
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