La cosa giusta

Dopo due anni di navigazione in altomare l’approdo, la terra, il cemento. Ritrovo le stesse scarpe lasciate in banchina quando ho mollato gli ormeggi. Mi calzano ancora ma le trovo strette; forse è cambiata la forma del piede. Dentro le scarpe sassolini quasi dimenticati, consumati dal camminarci sopra anche quando facevano male. Non più. Potrei anche tenermeli, sarebbe pur sempre una compagnia, una scusa per ricordare, un modo per…
Dovrò toglierli prima o poi, quando sarà la cosa giusta da fare.

Come comportarsi quando la ragione confligge con i sentimenti? Situazione piuttosto banale che ricorre fin troppo spesso. Lui che tradisce lei o viceversa, genitori che alla prima opportunità disattendono i principi imposti ai figli; amici, fratelli e sorelle, che in forza di un rapporto d’affetto, immanente o dichiarato che sia, parlano in un modo e agiscono in quello opposto: ti fottono, per dirla come te l’hanno fatta mangiare.
Quando qualcosa del genere accade, smaltita la sacrosanta incazzatura cosa fai? Ti vendichi cercando di restituire la scortesia? Assolvi confidando in un futuro ravvedimento? E nel caso tu sia una persona tollerante, per quanto sia possibile, perdoni ad oltranza o viene il momento in cui la misura è colma, anche per gli affetti più profondi?
E se l’essere umano che hai cancellato dalla rubrica fosse il padre, la madre, un figlio o un fratello, sarebbe giusto chiudere i rapporti con lui come faresti con una persona qualunque?
La testa ti dice che sì, è la cosa giusta da fare, perché il sangue può rafforzare un legame, alzare la soglia della sopportazione, ma non compensare in eterno l’assenza di reciprocità in un rapporto.
La testa dice che fare i conti è cosa giusta: è un bravo contabile quando ci si mette, il braccio destro della Coscienza.
Alla “cosa giusta”, nel senso che prediligo tra i tanti, si perviene attraverso un processo complicato dalla quota ponderale dei sentimenti in gioco. La Coscienza misura (il contabile), razionalizza (il braccio sinistro: la logica) ma non è in grado di elaborare dei sentimenti: allo stesso modo di un pianoforte robotizzato, che riesce a riprodurre esattamente tempo, note e pressione del tasto, ma non sarà mai capace di trasmettere i sentimenti generati dal tocco delle dita di un pianista.
Dunque? Facciamo di conto come si diceva una volta?
Si può fare, è lecito, direi giusto, se non fosse per l’amaro che poi ti resta in bocca, che è ingiusto doverlo subire se quella che ha fatto è la cosa giusta.
Pare un gioco di parole, invece, è proprio ciò che accade quando decidi che è meglio starci male una volta e per tutte, piuttosto che sperare sia l’ultima, che non verrai deluso una volta di più.

Un’avvertenza per i più coscienziosi: odio, risentimento, rancore e simili sono sentimenti che conviene riposizionare sui primi tasti del pianoforte: note così basse che non andrebbero suonate nemmeno per sbaglio, per quanti danni possono fare ai cervelli desertificati dalla mancanza di esercizio.
C’è un modo più semplice di fare la cosa giusta senza ricorrere al contabile: lasciare che sia l’affetto a decidere.
Finché ce n’è, fino a quando il sole implacabile della verità storica ne avrà fatto evaporare l’ultima goccia.

Arvales presenta un nuovo intervento: La cosa giusta